[Multifandom] The 24 Hours Run

Atsushi singhiozzava, mugugnando qualcosa riguardo al non essere all'altezza di Doudanuki. Midare invece canticchiava cose senza senso, intrecciando fiocchi rosa tra i capelli di Yagen, addormentato con la bava alla bocca. Mentre Akita, con quella che credeva essere un'espressione minacciosa, cercava di litigare con una delle tigri di Gokotai, il quale aveva un'espressione persa nel vuoto.
Ichigo sospirò, massaggiandosi le tempie.
Di una cosa era certo: non avrebbe mai più lasciato i suoi fratellini in prossimità di Jiroutachi e Nihongou.
Ottimi guerrieri, ma avevano in corpo più sake che maturità. E soprattutto, non erano quei due ad avere delle responsabilità sui Toushirou e a doverli gestire nella loro prima sbronza.

Vi erano delle volte nelle quali Felix sentiva l'irrefrenabile voglia di prendere a pugni Sylvain e gridargli contro un: «Lo vuoi capire che ti amo?».
Perché Sylvain era un idiota che continuava a ficcarsi nei guai con le famiglie delle ragazze che seduceva e infine abbandonava, per poi correre puntualmente da lui alla ricerca di protezione. E Felix, che era anche più stupido, lo aiutava ogni singola volta nella speranza che l'altro aprisse gli occhi. Che capisse.
Alla fine però non cambiava mai niente. Altre ragazze sedotte e abbandonate, padri e fratelli arrabbiati, e Felix con quel nervosismo e un cuore spezzato che faceva male più di ogni altra cosa.

Il fiato di Nijimura gli accarezzò la coscia, tremendamente vicino alla sua erezione. Trattenne a stento un gemito carico di aspettativa, e proprio lì, sul più bello, dal baby monitor posato sul comodino si levò il forte pianto di un bambino.
Haizaki boccheggiò, palesemente frustrato, esplodendo in un preventivo: «Tocca a te!»
«No, è toccato a me la volta scorsa. Ora tocca a te», ribatté Nijimura.
«Costringimi!»
Si guardarono in cagnesco per qualche istante, sussultando sorpresi quando il pianto del bambino si placò.
Nel baby monitor era apparsa la figura del loro figlio maggiore che, prendendo in braccio il più piccolo, borbottò un: «Mi pare evidente che tocchi a me...»

«Odasaku».
Le labbra di Dazai tremavano, come se fosse sull'orlo del pianto. Sakunosuke, incerto su come comportarsi, gli rivolse un sorriso debole e stanco.
Il fremito dalla bocca del più giovane si spostò sugli occhi, rendendoli improvvisamente liquidi.
Oda non poté non preoccuparsi per quella reazione, ma Dazai non gli diede il tempo di reagire perché lo investì letteralmente in un abbraccio, strappandogli un basso mugolio sorpreso.
«Dazai...»
«Odasaku... non farlo mai più», mormorò l'altro, stringendolo con decisione e tenendo il viso nascosto nell'incavo del suo collo.
Oda gli accarezzò debolmente la testa, chiudendo gli occhi e lasciandosi avvolgere da quella vita che aveva pensato di non meritarsi più.
«D'accordo».

Iris era nervosa e Aranea, per quanto fosse sicura delle abilità della più giovane, non poté non comprenderla. Quella, d'altro canto, era la sua prima missione fuori da Lestallum ed era più che normale provare un po' di agitazione.
Per quello la affianco, sfiorandole il braccio con delicatezza per attirare l'attenzione.
«Andrà tutto bene», le disse con un sorriso rassicurante.
Iris prese un bel respiro, chiudendo gli occhi per far scorrere via la tensione.
«Lo so», rispose, puntando di nuovo lo sguardo su quello dell'altra con ritrovata decisione, «perché ci sei tu con me».
«Ovvio», ribatté, cercando di contagiarla con la sua sicurezza, «non ti libererai di me tanto facilmente».

Nie Huaisang era un bravo bugiardo.
Non sarebbe mai stato il guerriero che suo fratello aveva desiderato, ma sapeva di essere il capo del quale il suo clan aveva bisogno in quel momento.
Perché non gli importava di apparire volutamente debole e ingenuo, né veniva scalfito dai soprannomi umilianti che gli venivano sussurrato alle spalle.
Huaisang aveva un obiettivo e niente e nessuno gli avrebbe impedito di raggiungerlo: avrebbe distrutto Jin Guangyao e vendicato suo fratello, Nie Mingjue.
Ed era pronto anche a dare via tutto il suo orgoglio, mentendo e fingendosi un inetto, pur di perseguire il suo scopo.

I bambini di Odasaku erano una minaccia, ma erano di Odasaku, e Dazai aveva imparato a sopportarli e ad apprezzarli anche quando lo trattavano più come un fratellone che come un pericoloso membro della Port Mafia.
Se non avesse amato così tanto Odasaku non avrebbe mai accettato quel trattamento.
"Perché lo amo?", si chiese, mentre Sakura gli intrecciava dei fiori tra i capelli.
Odasaku era fantastico e unico, ma… perché lo amava?
I loro sguardi si incrociarono per un istante e poi lo sentí..
Uno sbuffo, una risata mal trattenuta. Gli occhi che brillavano anche dietro quel viso sempre impassibile… e il suo cuore fece una capriola.
Ah.
Ecco perché.

Laburno era nel bel mezzo di una sessione di selfie per il suo profilo Pokégram quando il silenzio dell'appartamento venne interrotto dall'anomalo suono del campanello che riprendeva il ritmo di una vecchia filastrocca per bambini.
Era sorpreso, ma quello non gli impedì di correre subito verso la porta con un ampio sorriso, perché solo una persona poteva suonare il campanello in quel modo.
«Ehi Campione!», esclamò infatti, accogliendo Dandel con sincera felicità, «Come mai da queste parti?»
«Ehi! Ero nei dintorni e... mi mancavi», rispose questo, un poco imbarazzato, cosa che strappò una risata a Laburno.
«Fammi indovinare. Ti sei perso, vero?»
«... Sì, e Charizard mi ha riportato qui»

Era difficile riuscire a svegliare Belphegor, ma quando si trattava di Beel, lui aveva sempre una sorta di sesto senso. E in quel momento sapeva che Beelzebub aveva bisogno di lui.
Si alzò dal suo letto, accostandosi silenziosamente a quello del fratello, il cui viso gli apparve subito contratto in una smorfia, tipica degli incubi che lo perseguitavano.
"Starà sognando Lilith", pensò con una morsa allo stomaco.
«Shh, Beel», soffiò, «tranquillo, sono con te... non ti lascio», aggiunse, stendendosi accanto a lui per poterlo abbracciare.
Non poteva riportare indietro Lilith - anche se lo avrebbe voluto -, ma avrebbe fatto di tutto pur di proteggere Beelzebub, anche da quegli incubi.

Alle volte Rei sembrava un gattino bisognoso d'affetto e a quello, Kai, non si sarebbe mai abituato. Perché non sapeva come reagire quando, nell'intimità della loro stanza, il suo ragazzo si strusciava letteralmente su di lui, con gli occhi chiusi e un sorriso felino sulle labbra.
Era adorabile, non poteva negarlo, ma quello non gli impediva di chiedersi: "Che cosa dovrei fare ora?"
Nessuno era mai stato "affettuoso" con lui e non aveva nessun esempio da imitare. Per fortuna, Rei accorreva sempre in suo soccorso, paziente e dolce.
«Accarezzami i capelli», gli suggerì e Kai, nascondendo il sollievo dietro un'espressione impassibile, non poté far altro se non eseguire quel consiglio.