Posts written by #Michelle

  1. .
    Prompt: Antica Grecia
    Fandom: Hades
    Note: Quando si dice "voglio morire". Ecco. Mi sono disegnata nell'Oltretomba.

    Link HD (credo)
    Njk4yht
  2. .
    Best Christmas
    Promare
    Lingua: Italiano
    Rating:
    Genere: Erotico, Introspettivo
    Wordcount: 1500
    Tipo Coppia: M/M
    Personaggi: Lio Fotia, Galo Thymos
    Pairing: Galo/Lio
    Warnings: Established Relationship, Fluff and Smut, Masturbation, Hand Jobs, Non Betata
    gV3GYWL
    Status:
    Info:
    Trama & Note:
    PROMPT
    3 - Divano

    PARTECIPA A
    Maritombola 11 @LandeDiFandom

    ALTRO
    Dedicata ad Hermes per il Secret Santa di Kaos Borealis
    Per Lio quello era il primo Natale senza i Promare e, sicuramente, era anche il primo che poteva festeggiare dopo molti anni.
    NOTE
    Per me è stato complicato cercare di scrivere qualcosa di vagamente porno ma ci tenevo a fare un del fluff con un pizzico di smut.
    Spero che i personaggi siano IC, non scrivevo su Promare da tempo (e diciamocelo: non avevo scritto tanto neanche in passato)
    «La prima mossa era stata attendere la mezzanotte.»
    Per Lio quello era il primo Natale senza i Promare e, sicuramente, era anche il primo che poteva festeggiare dopo molti anni.
    In realtà non aveva mai dato troppo peso a quel tipo di festività, chiaramente più indirizzate alle 'famiglie' che ad un gruppo di fuggiaschi come lo erano i Mad Burnish, ma da quando aveva iniziato a convivere con Galo - subito dopo aver perso i Promare - le cose erano nettamente cambiate.
    Tutta la vita di Lio era stata stravolta dal suo incontro con Galo. Aveva trovato un lavoro, un posto dove stare, una nuova ragione di vita e alla fine era anche arrivato l'amore. Traguardi piccoli e grandi che, onestamente, non si sarebbe mai aspettato di raggiungere. E quella vigilia natalizia sembrava essere la prova di quella nuova realtà che stava scoprendo giorno per giorno.
    Galo, infatti, adorava il Natale e non ne aveva mai fatto mistero. Gli era bastato entrare a Dicembre per iniziare a decorare non solo l'appartamento che dividevano, ma anche la stazione dei pompieri, e come un bambino un po' troppo cresciuto sembrava attendere la vigilia come se fosse per davvero la notte più importante dell'anno.
    Lio non poteva capirlo né provare lo stesso trasporto, ma non poteva neanche nascondere una certa tenerezza nel vedere il suo compagno così esaltato. Pur non facendosi contagiare dal suo entusiasmo trovava ugualmente bella quella sua genuinità, tant'è che lui stesso era arrivato a promettersi una cosa: avrebbe reso quel Natale indimenticabile per Galo. Anzi, per entrambi.
    La prima mossa era stata attendere la mezzanotte.
    Avevano mangiato insieme e, seduti sul divano davanti alla TV, avevano guardato un film - rigorosamente natalizio - in attesa dello scoccare della fatidica ora.
    Galo aveva accolto quel rintocco con un sorriso felice e un: «Buon Natale, Lio», caldo e rassicurante, e Lio lo aveva semplicemente baciato. Senza ‘se’ e senza ‘ma’, si era solamente sporto verso di lui e aveva appoggiato le labbra contro quelle di Galo, con dolcezza e crescente desiderio, cosa che il suo compagno sembrò condividere sin da subito.
    Lio si spostò per potersi sedere sopra di Galo, sistemandosi il più comodamente possibile sulle gambe dell’altro senza mai smettere di baciarlo. Affondò le mani sugli impossibili capelli del compagno, lasciando che quest'ultimo lo cingesse in un caldo abbraccio.
    Da quando i Promare erano tornati nel loro mondo, Lio aveva imparato a capire cosa fosse 'il freddo' e non poteva nascondere di trovare davvero piacevole il calore che Galo sembrava emanare in modo tanto naturale. Tutto del suo compagno emetteva quel tepore rassicurante, dal suo sorriso innocente fino alle mani ruvide per il lavoro di Vigile del Fuoco.
    Smise di baciarlo solo per iniziare a donargli altri leggeri baci lungo la mascella e il collo, ascoltando con le orecchie ben tese i sospiri di Galo.
    «Mi piace... questo tuo modo di festeggiare il Natale», scherzò quest'ultimo, chiaramente divertito ma anche eccitato dalle attenzioni che gli venivano rivolte - era impossibile, data la posizione, non notare l'erezione che stava iniziando a premere contro i pantaloni che indossava.
    «È il mio regalo per te», mugugnò Lio senza nascondere un minuscolo sorriso, «e per me sarebbe un gran regalo se ti liberassi di questo maglione», aggiunse, allontanandosi un poco per sollevare sul ventre il maglione, dagli accesi colori natalizi, che Galo si era ostinato ad indossare - era raro vederlo con qualcosa addosso, ad essere onesti, ma il suo compagno sosteneva che bisognava entrare nello spirito natalizio.
    Galo sbuffò una risata, e inarcandosi un poco permise a Lio di togliergli il maglione - che venne lanciato in un punto imprecisato del piccolo salotto.
    «Ora posso iniziare a 'scartarti' anche io?», chiese a quel punto Galo, accarezzandogli con dei movimenti lenti e calcolati le cosce. Con le dita stava andando ad avvicinarsi pericolosamente all'erezione di Lio senza però mai toccarla realmente.
    «Direi di sì», confermò Lio sollevandosi sulle ginocchia per poter lasciare più spazio di movimento al suo compagno.
    Galo non si fece attendere e spinse subito le mani sui fianchi di Lio, sollevando verso l'alto l'anonimo maglione color nero. Seguì quel cammino con le labbra, baciando gli addominali e la pelle che veniva via via scoperta.
    Lio chiuse gli occhi, beandosi di quelle attenzioni ed emettendo dei bassi sospiri che divennero lentamente dei mugugni non appena la bocca di Galo si chiuse su uno dei suoi capezzoli. Si spinse istintivamente verso di lui, ansimando ed alzando le braccia per permettere al suo compagno di togliergli del tutto il maglione.
    Una volta nudo, abbracciò il capo di Galo per impedirgli di allontanarsi dal suo petto. Poteva sentire quel bottoncino di pelle indurirsi mentre il suo compagno lo leccava e succhiava, vezzeggiandolo di tanto in tanto con i denti.
    Concentrato com'era su quelle sensazioni non poté non emettere un gemito sorpreso quando le mani di Galo si strinsero sulle sue natiche, palpandole senza alcun ritegno.
    Gemette ancora e, come incoraggiato da quei versi, il suo compagno si impegnò per continuare a spogliarlo. Armeggiò con la cintura che teneva chiusi i pantaloni neri di Lio e, una volta aperta, li abbassò fino alle ginocchia insieme agli slip. Lio tremò e sospirò nel sentire la sua erezione finalmente libera, e facendo allontanare Galo dal suo petto si abbassò ancora per poterlo baciare con dolcezza. Non esisteva un vero vincitore in quella loro battaglia, avevano imparato da tempo che il loro rapporto poteva esistere solo ed esclusivamente con la collaborazione di due persone alla pari.
    Nessun essere superiore e nessuno inferiore. Era proprio quello che Lio amava in Galo, il fatto che non avesse mai cercato di prendere il sopravvento ma che al contrario, gli lasciava lo spazio che desiderava e gli teneva testa quando c'era bisogno di mantenere la calma - cosa che Lio stesso faceva con il suo compagno, visto che erano entrambi inclini ad atteggiamenti, per così dire, 'spettacolari'.
    Sorrise contro le labbra di Galo e le mordicchiò quasi giocosamente prima di allontanarsi un poco e tentare di liberare anche l'erezione dell'altro. Ci mise poco ad aprire la cintura del suo compagno, e ancor meno ad aprirgli i pantaloni e ad abbassare i boxer quel tanto che bastava per tirare fuori il sesso eretto di Galo, che ricevette una prima e leggera carezza, una sorta di assaggio per quello che sarebbe accaduto da lì a poco.
    Si riaccomodò sulle gambe del suo compagno, sospirando a sua volta quando la sua erezione andò a scontrarsi contro quella dell'altro.
    Galo non parve pensarci due volte e con una mano andò ad afferrare entrambi i sessi per frizionarli l'uno contro l'altro con dei movimenti calmi ma decisi. Lio gemette subito quasi all'unisono con Galo che, con la mano libera, gli accarezzò il viso, invitandolo ad abbassarsi un poco per baciarlo ancora. Era un qualcosa che entrambi sembravano amare, avrebbero passato anche ore a baciarsi senza fare altro - forse, ma quello Lio non lo avrebbe mai ammesso apertamente, era perché era stato proprio una sorta di 'bacio della vita' ad unirli.
    Lio lo abbracciò ancora, spingendo il bacino contro la mano del suo compagno per accompagnare quelle carezze regolari e intime, soffocando i gemiti in quel lungo bacio che presto avrebbe lasciato entrambi senza fiato.
    Si staccarono infatti più volte per respirare ma, come se non ne potessero fare a meno, le loro bocche tornavano l'una sull'altra.
    Di sicuro, annotò mentalmente Lio, quando si sarebbero spostati sul letto avrebbero reso quelle carezze ben più intense, ma in quell'istante sentiva di potersi accontentare di quella semplice masturbazione sul divano. Infatti non poté non concedersi un mugugno soddisfatto quando, qualche minuto dopo, venne investito dall'orgasmo che andò a riversarsi contro la mano di Galo, che continuò a muoversi spargendo il liquido seminale sull'intera lunghezza di entrambe le erezioni.
    Lio tremò visibilmente, gemendo senza vergogna contro la bocca di Galo, trovandosi quasi sopraffatto dalle sensazioni che stava avvertendo nel sentire la pelle, sensibile e provata dall'orgasmo di qualche attimo prima, venire ancora molestata dalle attenzioni del suo compagno, il quale emise un verso quasi gutturale quando qualche attimo dopo venne a sua volta.
    Rimasero immobili, con i muscoli tesi e contratti per l'orgasmo, e solo dopo qualche attimo si permisero di crollare l’uno sull’altro contro lo schienale del divano, ansimanti ma chiaramente soddisfatti da quella sorta di sveltina.
    Era stato rapido ma intenso, piacevole e travolgente come ogni volta che decidevano di fare qualcosa insieme. Lio era semplicemente felice di avere con sé una persona come Galo e gli venne addirittura da sorridere quando quest’ultimo riprese a parlare non appena ebbe abbastanza fiato in corpo.
    «Credo... che questo sarà il miglior Natale della mia vita», dichiarò infatti Galo con tono chiaramente divertito, baciando la tempia di Lio con quella dolcezza che lo rendeva unico. Lio sorrise a sua volta, sfregando il naso contro il collo del suo compagno in un movimento placido e pigro.
    «Anche il mio... senza ombra di dubbio».

    Note Conclusive:
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    code by #Michelle
  3. .
    Welcome, strange yet respectable Travelers
    Genshin Impact
    Lingua: Italiano
    Rating: &
    Wordcount Totale: work in progress

    Info:

    PARTECIPA A
    Genshin Impact Run: welcome, strange yet respectable travelers @Piume d'Ottone

    DEDICHE
    Al Discord di Genshin Impact Italia e a tutti i patati di PdO
    Fsq9N2g
    Status:
    Link:
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    1. First Kiss
    Rating:
    Genere: Introspettivo, Fluff
    Wordcount: 385
    Tipo Coppia: M/M
    Personaggi: Diluc Ragnvindr, Kaeya Alberich
    Pairing: KaeLuc leggerissimo
    Prompt: Bacio Rubato
    Warnings: Stolen Kiss, Gente Ubriaca dopo due bicchieri di Dandelion Wine, Underage Drinking, Adopted Sibling
    NOTE
    Ambientata prima della storia di Traveler, durante la promozione di Diluc a Capitano di Cavalleria
    Diluc ricordava perfettamente il suo primo bacio. Aveva sedici anni e gli aveva lasciato sulle labbra il sapore dolce del Dandelion Wine prodotto dalla sua famiglia. Quella sera alla Dawn Winery si festeggiava la sua promozione a Capitano di Cavalleria - il più giovane, era quella la precisazione che tutti facevano ad ogni brindisi -, e solo per l'occasione sia al festeggiato che al fratello era stato permesso di assaggiare un po' di vino.

    Erano altri tempi, e Diluc aveva ancora un padre e poteva chiamare Kaeya 'fratello'. Era felice in quel periodo, felice all'idea di aver reso fiero suo padre ed emozionato per il cammino che stava intraprendendo tra i Cavalieri di Favonius.

    La sua vita era perfetta e lo era stato anche quel bacio che aveva rubato proprio a Kaeya, mentre lo accompagnava nella sua stanza, ubriaco per essersi scolato non solo il suo bicchiere di Dandelion Wine ma anche quello dello stesso Diluc, che dopo il primo sorso aveva preferito bere solamente succo d'uva.

    Kaeya farneticava un po', ridacchiava e lo abbracciava. Gli diceva che era felice della sua promozione e che gli voleva bene più di qualsiasi altra cosa a quel mondo. Che per lui era pronto a rinunciare ad ogni cosa - e Diluc ci credeva, aveva sempre creduto a Kaeya.

    Era stato divertente vederlo in quelle condizioni ed era stato anche stranamente ammaliante osservarlo abbandonato sul letto, con i capelli sciolti sparsi sul cuscino, le guance leggermente arrossate e le labbra socchiuse, piegate in un leggero sorriso.

    Lo sguardo di Diluc si era soffermato proprio su quel dettaglio, e la colpa era tutta di quell'unico sorso di vino se si era piegato sul corpo del fratello per dargli un leggero bacio - aveva sempre usato quella scusa per giustificare il suo gesto folle.

    Aveva solo sfregato un poco le labbra su quelle di Kaeya, in modo innocente e senza alcuna pretesa, sussurrando poi un basso: «Buonanotte Kae», prima di fuggire nella sua stanza a pensare per tutta la notte a quanto aveva fatto.

    Era stato il suo primo e unico bacio. Un ricordo felice e imbarazzante, che Diluc custodiva gelosamente nel suo cuore, e che gli impediva di spaccare regolarmente la faccia a Kaeya ogni volta che lo vedeva flirtare con qualche avventuriero per la sua 'ricerca di informazioni'.



    2. Avventura
    Rating:
    Genere: Introspettivo, Fluff
    Wordcount: 470
    Tipo Coppia: GEN
    Personaggi: Diluc Ragnvindr, Kaeya Alberich
    Pairing: //
    Prompt: Fuga Rapida
    Warnings: //
    NOTE
    Pre!Traveler
    Diluc si accucciò contro la parete in pietra, e solo dopo aver lanciato una rapida occhiata al di là del muro - cercando di non farsi vedere - si voltò per fare un cenno con la mano a Kaeya per far si che anche l’altro lo raggiungesse nel suo nascondiglio.

    Silenzioso e veloce, Kaeya lo affiancò. Aveva in viso un’espressione concentrata e seria.

    «Luc...»

    «Possiamo farcela», tagliò corto Diluc, mordendosi un labbro ed aggrottando le sopracciglia.

    Sarebbe stato difficile riuscire a superare la sorveglianza senza essere visti, ma ci erano già passati altre volte e sapeva che lui e Kaeya insieme erano in grado di fare tutto. Prese un bel respiro e guardò di nuovo oltre il muro.

    «Al mio tre... corri e salta il muretto alla nostra sinistra», mormorò attendendo il momento più propizio. Kaeya annuì e si mise in posizione, pronto a eseguire l'ordine di Diluc, che con tono basso e deciso iniziò il suo conto alla rovescia.

    «Uno... due...», ogni numero veniva scandito piano, intervallato da un lungo respiro volto a rilassare i muscoli fin troppo tesi. Il momento era quasi arrivato, solo un attimo e per qualche secondo la via sarebbe stata libera.

    «Tre!», esalò infine Diluc, e Kaeya scattò subito in avanti, rapido come un fulmine. Tra i due era sempre stato il più veloce, e Diluc sapeva di poter contare su di lui quando si trattava di piani di fuga rapidi come quello.

    Arrivato nel suo nuovo nascondiglio, Kaeya gli fece cenno di attendere. Diluc non poteva vedere tutti i suoi movimenti, ma era certo che si stesse preparando per creare un diversivo. Infatti pochi secondi dopo una pietra colpì una delle botti dalla parte opposta del suo riparo e Diluc, approfittando del momento di distrazione della sorveglianza, lo raggiunse oltre il muretto.

    Aveva il cuore a mille per l'emozione, ma il peggio era passato. Quella fuga era stata un vero successo, e da quel momento in poi sapeva che sarebbero potuti arrivare alla loro base segreta indisturbati. Gli venne infatti spontaneo rivolgere un ampio sorriso a Kaeya, il quale ricambiò a sua volta, felice per la buona riuscita della missione.

    «Non abbassiamo la guardia però, okay? Siamo ancora lontani dalla base», riprese Diluc con tono eccitato. Sentiva la vittoria già in mano ma non voleva rilassarsi.

    «Mai e poi mai», ribatté Kaeya ed entrambi, nascosti sotto le piante del vigneto, si avviarono verso la loro base base segreta, nascosta dietro una delle case dei vignaioli.

    Quella, ovviamente, era ben lontana dall'essere una vera e propria fuga avventurosa, ma ai loro occhi non c'era niente di più eccitante dello sgattaiolare lontano dalla struttura principale della Dawn Winery senza farsi beccare dallo staff al lavoro nel vigneto, cercando ogni giorno nuovi metodi e vie di fuga per arrivare alla loro meta.






    3. Padre e Figlia
    <div style="font-variant: small-caps; padding:3px; border-bottom:1px dashed #737d85; margin-bottom:2px"> Rating:
    Genere: Introspettivo, Fluff
    Wordcount: 1130
    Tipo Coppia: GEN
    Personaggi: Klee, Diluc Ragnvindr, Kaeya Alberich
    Pairing: KaeLuc if you squint
    Prompt: Notte
    Warnings: //
    NOTE
    Klee ha due padri adottivi. Fatemi cambiare idea
    Il primo pensiero di Diluc nel vedere Klee varcare la porta della Dawn Winery, accompagnata da Adelinde, fu un: «Perché è qui senza una scorta?»

    Era quasi certo che tra i Cavalieri di Favonius ci fosse una sorta di ‘regola non scritta’ riguardante il fatto che ci dovesse sempre essere un sorvegliante per quella bambina, e il vederla lì da sola - dopo il tramonto per giunta - non faceva altro che confermare l'inadeguatezza dei Cavalieri.

    Trattenne uno sbuffo, e lanció un'occhiata interrogativa ad Adelinde che rispose con un sorriso - di sicuro era stata conquistata da quella bambina e dalla sua innocenza.

    «Master Diluc, la piccola Miss Klee ha qualcosa da chiederti», esordì la giovane donna con tono tenero e parecchio divertito. Sembrava trovare la situazione particolarmente comica, cosa che Diluc non riusciva del tutto a comprendere.

    Klee, chiaramente imbarazzata, si fece avanti tenendo la testa bassa mentre con le manine torturava la sciarpa che portava al collo.

    «È buio ora, e… non trovo la strada per casa», iniziò dondolandosi un po' sui piedi.

    Non ci voleva un genio per capire dove volesse arrivare, infatti Diluc tagliò subito corto con un: «Vuoi essere riaccompagnata?»

    Klee alzò finalmente la testa con gli occhi pieni di speranza e di sollievo. «Sì!»

    Diluc incroció le braccia al petto, un’espressione seria in viso.

    «Sei fortunata. Devo andare all'Angel's Share, quindi posso portarti con me fino a Mondstadt», rispose tenendo per sé il fatto che l'avrebbe accompagnata in ogni caso, anche senza dover passare alla sua taverna. Era una bambina e, per quanto potesse essere pericolosa e anche una temibile guerriera, sarebbe stato sconsiderato il lasciarla vagare da sola per la Windwail Highland la notte. Concetto che Adelinde sembrava aver compreso fin troppo bene visto il sorriso che gli rivolse.

    Klee esultó senza alcuna vergogna, felice per quello che le sembrava essere un vero colpo di fortuna, e Diluc non poté fare a meno di accennare un piccolo sorriso, che nascose subito dando le spalle alla bambina.

    «Partiamo tra cinque minuti», dichiarò, allontanandosi per raggiungere Elzer, che sembrava a sua volta divertito. Diluc gli rivolse infatti uno sguardo interrogativo e l'uomo, senza smettere di sorridere, gli rispose con un: «Era una scena molto familiare».

    Decise di lasciar correre e di dedicarsi per un momento ai rifornimenti per l'Angel's Share e ad altri documenti che avevano bisogno di alcune sue firme, cose che per sua sfortuna non poteva delegare a nessuno.

    Per quanto si fosse prodigato per sbrigare quelle faccende nel modo più celere possibile, quando fu pronto per partire scoprì suo malgrado che Klee, nell'attesa, si era appisolata su uno dei divanetti. Nel guardarla non sembrava minimamente una letterale mina vagante, ma solo una semplice bambina troppo stanca per una giornata passata a fare chissà cosa. Sospirò e con tutta la delicatezza che possedeva la prese in braccio, facendole appoggiare la testa sulla sua spalla per permetterle di continuare a dormire.

    Salutò con un cenno del capo il resto dello staff e, ignorando gli sguardi sognanti di Adelinde e delle altre cameriere, lasciò la sua abitazione con Klee ancora addormentata.

    Il paesaggio notturno della Dawn Winery era accarezzato dalla luna ormai alta in cielo, animato dalle Crystalfly che svolazzavano leggiadre tra i vitigni. Era uno spettacolo magico e incantato, che da bambino amava osservare dalla finestra della sua cameretta. Era un bel ricordo ma lo scacciò scuotendo il capo.

    Si incamminò quindi lungo la stradina sterrata che lo avrebbe condotto a Mondstadt - aveva ormai smesso di prendere la carrozza dopo la ‘disavventura’ con suo padre, preferendo di gran lunga camminare. Proseguì lentamente sulla strada, sperando di non incrociare i soliti Hilichurls o degli Slime, proprio per non destare la bambina e si potè ritenere fortunato sotto quel punto di vista... ma lo fu un po' meno quando all'altezza di Springvale avvistò la familiare figura di Kaeya.

    Si irrigidì, soprattutto quando l'altro gli rivolse uno dei suoi sorrisi sornioni, salutandolo con un gesto della mano. Ricambiò il saluto freddamente solo quando furono l'uno davanti all'altro.

    «Ecco chi aveva 'rapito' la nostra piccola Spark Knight», esordì Kaeya inclinando il capo senza smettere di sorridere, sembrava divertito e al tempo stesso intenerito.

    «Non dovreste permette a dei bambini di girare indisturbati nella Windwail Highland di notte», ribatté Diluc prontamente, tenendo un tono basso per non svegliare Klee, «men che meno lei», aggiunse. Neanche Barbatos sapeva quante bombe quella bambina era stata in grado di sotterrare per tutta la Starfell Valley o nell'altopiano tra la Dawn Winery e il Wolvendom.

    «Huffman doveva tenerla d'occhio ma la nostra Klee è molto brava con i suoi... 'diversivi creativi'».

    Diluc provò quasi un moto di pietà verso Huffman ma lo tenne per sé.

    «La prossima volta mi auguro starete più attenti», riprese continuando a camminare verso Mondstadt, ormai affiancato da Kaeya che non stava facendo niente per riprendersi la bambina - che continuava a dormire indisturbata tra le sue braccia.

    «Sai... se non ti conoscessi bene, e non conoscessi neanche la madre di Klee, potrei dire di avere davanti padre e figlia».

    Diluc per poco non si gelò sul posto per quell'affermazione. Era carica di malizia - quella non poteva mai mancare con Kaeya -, ma aveva avvertito anche una nota nostalgica, un qualcosa legato a quel passato che nessuno dei due avrebbe mai riavuto indietro.

    Strinse le labbra e si fermò, lasciando morire tutte le risposte che avrebbe voluto dare dietro quel breve momento di silenzio.

    «Klee è responsabilità dei Cavalieri di Favonius», dichiarò con voce ferma, sporgendosi leggermente verso Kaeya per permettergli di riprendersi la bambina. L'altro non se lo fece riprendere due volte e con attenzione prese Klee, cullandola un poco per evitare che si svegliasse durante quel passaggio.

    Sembrava stranamente a suo agio con la piccola tra le braccia. La guardava con affetto e tenerezza, come se fosse pronto a proteggerla da ogni cosa - anche se erano entrambi ben consapevoli che Klee era più che capace di difendersi da sola -, e Diluc nel vedere quella scena da una posizione esterna non riuscì a impedirsi di pensare che anche lo stesso Kaeya, insieme a Klee, poteva passare per un padre con la figlia.

    Le guance gli si colorarono un poco, mostrando in modo fin troppo palese il suo imbarazzo nato a causa di quell’assurdo pensiero. Riprese a camminare rapido, sperando che la notte potesse aiutarlo a nascondere la sua reazione dallo sguardo fin troppo attento di Kaeya.

    Quel passato - fatto di stupidi e romantici sogni ormai sterili - tornava sempre a tormentarlo, e la presenza di Kaeya, che in quel momento camminava alle sue spalle in silenzio, non faceva altro se non rendere tutto più difficile e insopportabile. E forse, si disse, non sarebbe mai riuscito a superarlo del tutto.







    4. Fortino
    Rating:
    Genere: Introspettivo, Fluff
    Wordcount: 435
    Tipo Coppia: GEN
    Personaggi: Diluc Ragnvindr, Kaeya Alberich
    Pairing: //
    Prompt: Lume di Candela
    Warnings: //
    NOTE
    Ambientata prima della storia di Traveler
    Avevano passato quasi un'ora nella costruzione di quel fortino nel tentativo di renderlo il più resistente e comodo possibile. Erano partiti dalle sedie e dai divani per creare una base solida sulla quale costruire il 'tetto', fatto con le lenzuola che avevano preso dai loro stessi letti, e solo alla fine si erano occupati dell'interno, con cuscini, coperte e dei dolcetti che avevano rubato dalla cucina della Dawn Winery.

    Il fortino era ben lontano dall'essere perfetto, ma quando Kaeya e Diluc vi si nascosero dentro con una candela accesa, si sentirono estremamente fieri dei loro sforzi. Era confortevole, grazie ai dolcetti profumava di buono, e cosa non meno importante Kaeya sapeva di trovarsi lì dentro con la persona che per lui era diventata la più importante del mondo.

    Diluc si era rapidamente conquistato un posto nel suo cuore, ed il fatto che avesse insistito tanto per costruire quel fortino significava davvero tanto per Kaeya. Perché si sentivano chiaramente dei potenti tuoni provenire dall'esterno della Dawn Winery e Kaeya detestava i temporali. Non lo aveva mai ammesso apertamente, ma Diluc sembrava conoscerlo meglio di chiunque altro, e si era dato subito da fare per trovare un modo per farlo distrarre e farlo sentire al sicuro.

    Sorrise beato ed emozionato per quelle attenzioni tanto naturali quanto strane, sotto il suo punto di vista, perché Kaeya per quanto si stesse abituando a quella vita e a quella famiglia, non poteva dimenticare il motivo della sua presenza in quel luogo. Ma in quel momento sentiva che non gli importava granché, perché le crostatine alla marmellata di Sunsettia erano deliziose e la voce calma di Diluc, intento a leggergli con tono sommesso dei vecchi racconti di eroi leggendari, era talmente calda e piacevole da cancellare anche il temporale che imperversava fuori dalla tenuta.

    Si sistemò meglio contro il suo cuscino senza smettere di sorridere, continuando ad osservare Diluc illuminato dalla tiepida luce di quell'unica candela che faceva sembrare i suoi capelli quasi fatti di fuoco vivo. Li aveva lasciati sciolti in morbide onde e Kaeya, affascinato da quei giochi di luce, non riuscì a trattenersi dall'allungare la mano per accarezzarli.

    Vi affondò le dita, facendole scorrere dalla nuca fino alle punte. Il contrasto tra il rosso e la sua pelle scura era strano ma piacevole, e senza aggiungere niente iniziò ad intrecciarli lentamente in una morbida treccia con il muto consenso di Diluc.


    Quel fortino forse non sarebbe mai stato perfetto, ma per Kaeya lo era eccome, e non avrebbe scambiato per nulla al mondo quei momenti passati al lume di candela con Diluc.















    code by #Michelle


    Edited by #Michelle - 11/12/2020, 22:09
  4. .
    Termosifone Ambulante
    Haikyuu!!
    Lingua: Italiano
    Rating:
    Genere: Introspettivo
    Wordcount: 290
    Tipo Coppia: M/M
    Personaggi: Oikawa Tooru, Iwaizumi Hajime
    Pairing: Oikawa/Iwaizumi
    Warnings: Established Relationship
    sHYIda6
    Status:
    Info:
    Trama & Note:
    PROMPT
    Spokon

    PARTECIPA A
    COWT10 @LandeDiFandom

    CREDITS
    Immagine Banner TAMMY
    Iwaizumi era quello che Oikawa adorava definire un termosifone ambulante. Infatti non importava che fosse pieno inverno o l’estate più calda degli ultimi vent’anni: Hajime sembrava essere in grado di emettere sempre calore. E di quello Tooru ne era immensamente grato.
    NOTE
    Non betata.
    «Perché Oikawa, al contrario suo, mal sopportava le basse temperature.»
    Iwaizumi era quello che Oikawa adorava definire un termosifone ambulante. Infatti non importava che fosse pieno inverno o l’estate più calda degli ultimi vent’anni: Hajime sembrava essere in grado di emettere sempre calore. E di quello Tooru ne era immensamente grato.

    Perché Oikawa, al contrario suo, mal sopportava le basse temperature. Detestava vedere le mani screpolarsi per il freddo, per non parlare dei raffreddori e delle influenze. Lui era nato in piena estate e il suo corpo sapeva di avere sempre bisogno di un certo tipo di calore, che per fortuna Iwaizumi era in grado di fornirgli in modo naturale.

    Per quel motivo d'inverno, o quando le temperature si abbassavano troppo per i suoi gusti, era solito cercare il calore del suo compagno in ogni modo… anche a costo di rischiare seriamente la vita.

    Infatti, fu un: «Ti ammazzo!», che lo accolse seguito da un brivido quando, andando a sedersi alle spalle di Hajime, si azzardò ad infilare le mani congelate sotto la felpa dell’altro ragazzo. Era bollente e sentí subito un vago accenno di sollievo abbracciarlo.

    «Ma ho tanto freddo, Iwa-chan… le mani sono preziose per un alzatore, vuoi che il tuo Capitano stia male?», si lamentò, cercando di impietosirlo. Appoggiò infatti il mento sulla sua spalla, tirando fuori il labbro inferiore in un broncio.

    Iwaizumi emise un verso esasperato.

    «Ho un idiota per capitano, ed hai i guanti sulla scrivania!», esclamò in risposta Hajime, senza però fare niente per allontanarlo, e lì Oikawa seppe di aver vinto.

    Sorrise vittorioso, permettendosi di scoccargli un bacio sulla guancia.

    «Guanti o non guanti, tu sei più caldo Iwa-chan… grazie per essere il mio termosifone ambulante~», cinguettò allegramente, sistemandosi meglio contro di Iwaizumi per godere di quel calore riservato solo a lui.



    Note Conclusive:
    //
    code by #Michelle
  5. .
    Unspoken
    Final Fantasy XV
    Lingua: Italiano
    Rating:
    Genere: Introspettivo
    Wordcount: 270
    Tipo Coppia: GEN
    Personaggi: Iris Amicitia (Clarus Amicitia)
    Pairing: //
    Warnings: //
    LdhKkrq
    Status:
    Info:
    Trama & Note:
    PROMPT
    La Papessa

    PARTECIPA A
    COWT10 @LandeDiFandom

    ALTRO
    //
    Iris era diventata brava nel far finta di nulla. Non ne andava fiera ma, a seconda della necessità, riusciva ogni volta a non mostrare il suo spiccato senso d'osservazione. Si trattava di una sorta di protezione che metteva su non tanto per salvaguardare se stessa, ma più che altro per il bene di chi le stava accanto.
    NOTE
    Mi sono ispirata a questa frase trovata nella wiki: “Nella cartomanzia [La Papessa] rappresenta generalmente la conoscenza segreta”.
    Non betata.
    «Iris era diventata brava nel far finta di nulla.»
    Iris era diventata brava nel far finta di nulla. Non ne andava fiera ma, a seconda della necessità, riusciva ogni volta a non mostrare il suo spiccato senso d'osservazione. Si trattava di una sorta di protezione che metteva su non tanto per salvaguardare se stessa, ma più che altro per il bene di chi le stava accanto.

    Soprattutto quando le cose che notata riguardavano la sua famiglia. D'altro canto, era sempre stata una ragazza attenta, ed era stato impossibile per lei non notare il crescente malessere di suo padre… e proprio perché si trattava di Clarus, Iris si era sentita costretta a tenere la bocca chiusa.

    Suo padre era un uomo orgoglioso, ligio al dovere e fedele alla famiglia. Per Iris era una sorta di supereroe, imbattibile e incorruttibile, lo aveva sempre visto privo di debolezze, e lo stesso Clarus sembrava voler mostrare quell'immagine di sé. Non si sarebbe potuto definire lo Scudo del Re altrimenti.

    Nascondeva le sue ansie e paure dietro un aspetto austero ma Iris aveva notato le sue spalle rigide e le occhiaie malamente nascoste da un fondotinta scadente, aveva visto le rughe del suo volto farsi più accentuate, e anche i sospiri, lunghi e profondi, che sembrava concedersi quando pensava di essere solo.

    Erano tanti piccoli dettagli che uniti la facevano sentire in ansia, ma non voleva neanche creare problemi a suo padre. Clarus non si sarebbe mai confidato con lei e, probabilmente, si sarebbe preoccupato ulteriormente nel sapere che Iris sapeva un qualcosa che doveva invece restare nascosta.

    Non era una bella situazione, ma Iris… era diventata davvero brava nel far finta di niente.


    Note Conclusive:
    //
    code by #Michelle
  6. .
    Writers Kùlo
    Originale - COWTverse
    Lingua: Italiano
    Rating:
    Genere: Comico
    Wordcount: 940
    Tipo Coppia: GEN
    Personaggi: le ragazze del Team Kulutrek
    Pairing: //
    Warnings: //
    CapCM42
    Status:
    Info:
    Trama & Note:
    PROMPT
    Majokko

    PARTECIPA A
    COWT10 @LandeDiFandom

    DEDICHE
    Al mio Team del COWT
    EQuella giornata nella CatCaverna era iniziata come tutte le altre, tra chi plottava, chi impazziva dietro i limiti e chi invece dormicchiava sui divani, e nessuna delle ragazze del Team Kùlo poteva anche solo immaginare che quell'apparente pace si sarebbe presto trasformata, stravolgendo le esistenze di tutte le persone lì presenti.
    NOTE
    Molto stupida, ma è il COWT.
    Non betata.
    «Era stata Valy la prima a rendersi conto dell'anomalia e a richiamare le sue compagne a raccolta.»
    Quella giornata nella CatCaverna era iniziata come tutte le altre, tra chi plottava, chi impazziva dietro i limiti e chi invece dormicchiava sui divani, e nessuna delle ragazze del Team Kùlo poteva anche solo immaginare che quell'apparente pace si sarebbe presto trasformata, stravolgendo le esistenze di tutte le persone lì presenti.

    Era stata Valy la prima a rendersi conto dell'anomalia e a richiamare le sue compagne a raccolta.

    «Lùcipurr sembra strano», aveva detto, indicando la mascotte che giocava in modo irrequieto con il suo tridentino. Aveva sempre gli occhi sgranati, spiritati, ma qualcosa di diverso sembrava brillare un quelle grandi iridi.

    «Forse si è stancato troppo nell'ultima settimana», commentó Irgio, «con la vittoria che abbiamo strappato grazie all'ultimo momento con Tatsu».

    «Sarà… ma mi sembra diverso dal solito», asserì con sicurezza Valy, e nessuna di loro ebbe il coraggio di contraddirla. D'altro canto era lei la persona che aveva dato vita a Lùcipurr e nessuna di loro lo conosceva meglio di Valy.

    La prima a farsi avanti fu Kurecchi che si inginocchió davanti al gatto.

    «Lùcipurr, stai bene tatino?», domandò con tono dolce, allungando la mano sulla testolina pelosa del micione.

    Quel gesto sembrò far scattare qualcosa a mascotte del team, e Kurecchi pur rendendosi conto di qualcosa, non fece in tempo ad allontanare la mano che venne avvolta da una luce accecante che andò poi a investire tutte le presenti nella CatCaverna.

    La luce, da bianca diventó rapidamente color arcobaleno, psichedelica con stelle e lampi. Accompagnata da una musica non tanto diversa da quelle di alcune serie anime per ragazzine.

    Quando quel bagliore si placó la prima domanda che nacque spontanea nelle mente del Team fu un: "Che cosa è successo?", ma nessuna riuscì a fiatare per lo stupore.

    Perché i loro abiti normali erano stati sostituiti da delle divise colorate e morbide, con fiocchi e pizzi.

    «Che cosa sta succedendo?!», esclamò Macci facendo un giro su se stessa per cercare di osservare meglio il suo outfit.

    «Perché siamo vestite come il sogno erotico di un maniaco giapponese?», le diede manforte Arwen, venendo seguita a ruota da IperOuranos.

    «E questa qui? La abbiamo tutte?», chiese la giovane, rigirando tra le mani una fountain pen che prima non possedeva, «Nella mia c'è scritto qualcosa… Writer Ruby Red. Che cosa significa?»

    «Anche nella mia c'è scritto qualcosa, Writer Dark Orchid», confermó Chibi, «riprende i colori dei nostri abiti… io il viola e tu il rosso, Iper».

    A quel punto tutte iniziarono ad annunciare quello che riuscivano a leggere sulle fountain pens, senza però trovare una spiegazione plausibile a quanto era appena accaduto almeno fino a quando BrokenApeiron, la cui penna riportava il nome Writer Deep Gray, non ebbe una sorta di illuminazione.

    «La /i>Missione Uno», mormorò dall'alto delle sue ricerche per la preparazione delle Istruzioni Settimanali™, «era sui generi letterari giapponesi, e uno dei prompt era sulle Magical Girls», concluse cercando con lo sguardo Kurecchi, la sua compagna di ricerche.

    La Writer Vintage Pink, che stava controllando il suo sottogonna fluffosa rosa antico, sgranó gli occhi.

    «Le tropes ci sono tutte», realizzó, cercando conferma nelle compagne, «i nomi in codice, ad esempio».

    «La trasformazione psichedelica c'è», iniziò Gwen, Writer Bright Green, venendo subito seguita da Mels, Writer Light Magenta, che aggiunse un: «Abbiamo pure le divise!»

    «E la nostra…. penna è tipo scettro magico?», chiese Harriet, Writer Turquoise Sea.

    «E per finire Lùcipurr è la classica mascotte che sigla il contratto con noi», concluse Irgio, Writer Gray Cloud.

    «Effettivamente è un po' come Kyubey», scherzó Valy, Writer Peach Orange, strappando delle risate anche alle sue compagne.

    «Non torna solo il fatto che non siamo delle pre-adolescenti», notó Vegethia, Writer Petrol Blue.

    «Per quel che mi riguarda mi sento… più giovane», ribatté Diana, Writer Deep Forest, ricevendo dei versi d'assenso delle altre che si sentivano effettivamente meno stanche della vita e meno inclini a guardare i cantieri delle Lande di Fandom - da qualche parte bisognava pur iniziare dopo dieci anni di battaglie.

    «Quindi… siamo come Sailor Moon o Madoka Magica?», chiese Kandra, Writer Electric Blue.

    «Direi più 'Writer' che 'Sailor', ma siamo lì», preciso Arwen, Writer Rose Pink.

    «Momento momento! Possiamo scriverci una fanfiction su questa cosa!», esclamò Tatsueigo, brandendo la sua fountain pen sulla quale era riportata la scritta Writer Night Blue, «Troviamoci un nome e magari anche un motto!»

    Iniziarono subito a partire le varie proposte e dopo un sano sondaggio, Chibi annunció il nome del loro magico gruppo: «Writers Kùlo è il nome!»

    «Per la frase ad effetto?», chiese Iper mostrandosi particolarmente esaltata.

    Macci, che era rimasta in silenzio fino a quel momento, saltò sulla Tavola Stellata. Gli occhi brucianti e il vestito da Magical Girl svolazzante con i suoi nastri e pizzi neri.

    «Writer Pitch Black ha la risposta!», esclamò attirando su di sé l'attenzione di tutte, «Siamo le paladine del Plot, siamo delle combattenti che impugnando una penna, noi siamo le Writers Kùlo e siamo venute fin qui per MANDARE A QUEL PAESE I LIMITI DI MERDA!»

    Tutte scoppiarono a ridere, trovandosi però d'accordo con la loro compagna.

    Le risate iniziarono tuttavia a mutare in un irregolare e trillo, e sussultando infastidita Sasageyo balzó seduta sul divano della Catcaverna sul quale stava dormicchiando. Si guardò attorno confusa, individuando Slack come la fonte di quelle notifiche.

    Era stato un sogno?, si chiese, trovando quella spiegazione più che plausibile.

    Sorrise tra sé e sé per quel volo di fantasia che aveva appena fatto, forse sotto qualche sostanza offerta da Lùcipurr, ma quella sua espressione tranquilla si spense lentamente quando si rese conto di avere stretta nella sua mano destra una fountain pen con su scritto Writer White Ghost.




    Note Conclusive:
    //
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  7. .
    Folgorite
    Final Fantasy VIII
    Lingua: Italiano
    Rating:
    Genere: Introspettivo
    Wordcount: 1015
    Tipo Coppia: Gen
    Personaggi: Zell Dintch, Seifer Almasy
    Pairing: //
    Warnings: Pre-Slash, Non betata
    aR5bSYX
    Status: 1k14nNS
    Info:
    Trama & Note:
    PROMPT
    19. Cristallo / Sabbia

    PARTECIPA A
    Maritombola @ @LandeDiFandom

    ALTRO
    //
    La sabbia era morbida e fine sotto le sue dita, piacevole e delicata al tatto.
    Per quanto i ricordi di quel luogo fossero offuscati, Zell non poteva negare di trovare familiare quella sensazione e per quel motivo trovava facile concludere di essersi già trovato in quella stessa posizione da bambino, quando ancora viveva nell'orfanotrofio.
    NOTE
    Scrivere sulla mia otp in pre-slash è super complicato, ma avevo questa idea in mente da un sacco di tempo <3
    Ambientata post-game ovviamente.
    «Onestamente, chiamarlo cristallo, era inesatto visto che si trattava di semplice folgorite
    La sabbia era morbida e fine sotto le sue dita, piacevole e delicata al tatto.

    Per quanto i ricordi di quel luogo fossero offuscati, Zell non poteva negare di trovare familiare quella sensazione e per quel motivo trovava facile concludere di essersi già trovato in quella stessa posizione da bambino, quando ancora viveva nell'orfanotrofio.

    Era scontato, in fondo. Perché chissà quante volte si era seduto su quella spiaggia dalla sabbia dorata ad osservare il mare come stava facendo in quell'istante.

    Erano ricordi che, probabilmente, non avrebbe mai riavuto indietro ma per fortuna niente sarebbe riuscito a cancellare le sensazioni fisiche che provava nello sfiorare la sabbia o qualsiasi altra cosa di quello stabile ormai in rovina.

    E solo un altro piccolissimo oggetto era sempre stato in grado di donargli quelle stesse emozioni, ed era un minuscolo cristallo dai bordi frastagliati e irregolari, di un giallo chiarissimo tendente al bianco.

    Lo tirò fuori dalla tasca, osservandone la forma asimmetrica incorniciata da un finissimo fil di ferro che lui stesso aveva intrecciato con attenzione per poter trasportare quel delicato cristallo come se fosse un portachiavi o un pendente da appendere al collo.

    Onestamente, chiamarlo cristallo, era inesatto visto che si trattava di semplice folgorite - sabbia con un'alta concentrazione di quarzo colpita da fulmine -, ma quel nome gli era rimasto attaccato da sempre e non aveva intenzione di cambiarlo.

    Lo aveva con sé sin da quando ne aveva memoria. Ricordava senza alcun ombra di dubbio di averlo avuto con sé già da quando era stato adottato dai Dincht, ed era sempre rimasto con lui in ogni esame al Garden e missione come SeeD. Era diventato una sorta di portafortuna.

    In ogni caso, alla luce delle scoperte fatte, Zell era arrivato ad una semplice conclusione: quel cristallo apparteneva a quell'orfanotrofio.

    Per quel motivo era tornato in quel luogo al termine di una missione che li aveva portato non lontano da lì. Perché voleva cercare, forse stupidamente, di ricordare come fosse entrato in possesso di quel pezzo di folgorite per lui così importante. Nella speranza di poter aggiungere un minuscolo tassello a quell'ammasso nebbioso che era la sua infanzia.

    Aveva ipotizzato, verosimilmente, di averlo raccolto proprio lì, su quella spiaggia, al termine di qualche tempesta… ma aveva bocciato quella soluzione con velocità e decisione. Perché qualcosa gli diceva che c'era molto di più dietro quel portafortuna creato da quella stessa sabbia.

    «Ne hai ancora per molto?», una voce lo fece sussultare e storse quasi istintivamente il naso.

    «Non ti ho mica chiesto di accompagnarmi», ribatté, voltandosi un poco per fissare il suo compagno in viso.

    Seifer Almasy non era di certo il partner che avrebbe scelto per le sue missioni, ma gli ordini al Garden erano chiare. Seifer, neo-eletto SeeD, era dotato di grandi abilità e tecnica, e le sue capacità sembravano andare a completare alla perfezione quelle di Zell.

    Erano perfetti insieme ne erano consapevoli, e quella cosa dava onestamente fastidio ad entrambi. Non erano mai stati in ottimi rapporti ed anche se avevano raggiunto una sorta di tregua era difficile cancellare del tutto anni di tensioni.

    «No, ma dobbiamo tornare insieme», ritorse Seifer.

    Sembrava essere di pessimo umore e Zell non poté non chiedersi se fosse quel luogo a renderlo ancor più antipatico… anche se, a dirla tutta, doveva ammettere di aver smesso ormai da tempo di provare una forte avversione per il suo compagno. Aveva, per modo di dire, imparato a sopportarlo.

    Per quel motivo, si ritrovò a giocare distrattamente con il cristallo che ancora teneva tra le dita, ponderando se accontentarlo e permettere ad entrambi di tornare al Garden.

    «… e quello da dove lo hai tirato fuori?»

    La domanda di Seifer giunse alle orecchie di Zell come un misto tra curiosità e sospetto.

    «Cosa?», chiese, forse stupidamente.

    «Quella… pietra. È folgorite, giusto?», precisò Seifer facendosi più vicino.

    «La ho da sempre. Perché?»

    L'altro rimase in silenzio, con le sopracciglia aggrottate in un'espressione pensierosa.

    «Perché era mia», rispose infine, lasciando però una sorta di interrogativo nel tono della sua affermazione.

    «Certo che no!», esclamò Zell, rifiutando con prontezza quell'ipotesi. Non sapeva come ne fosse entrato in possesso, quello doveva ammetterlo, ma non poteva accettare che il suo portafortuna fosse proprio di Seifer. Seifer che, per quanto fosse diventato sopportabile, gli aveva reso impossibili i suoi anni al Garden, comportandosi da vero e proprio bulletto.

    «So di averne posseduta una. Me lo ricordo», insistette Seifer con decisione più crescente, come se le memorie contenute in quel luogo di roccia e sabbia avessero iniziato a parlargli. Non era poi così assurdo perché tra tutta la cosiddetta gang dell'orfanotrofio, Seifer era insieme ad Irvine quello che aveva più ricordi della casa della loro infanzia.

    «Questo cristallo però è mio», insistette Zell.

    «Certo. Te l'ho regalato io», dichiarò infine Seifer, come se avesse raggiunto una scomoda ma veritiera consapevolezza. La sua espressione, infatti, parlava chiarissimo.

    Zell rimase bloccato, ma per quanto volesse negarlo sembrava quasi che quella spiegazione andasse bene al suo inconscio che, fino a quell'istante, aveva rifiutato ogni possibile soluzione.

    «Come?», esalò incredulo.

    «Il mio cristallo di sabbia», mormorò Seifer, scuotendo il capo, «eri un piagnucolone. E dovevo farti smettere di rompere le scatole».

    In un altro momento, Zell avrebbe assimilato quelle parole come una provocazione o insulto, ma suo malgrado aveva ormai imparato a conoscere il suo compagno e non poté non leggere qualcosa tra le righe. Un qualcosa che lo spinse a sorridere e a ricordare un piccolo dettaglio che sembrava sposarsi alla perfezione con quella situazione.

    «Questo cristallo ti proteggerà. Quindi piantala di frignare come una femminuccia, sei insopportabile!»

    Guardò ancora la folgorite, il suo tesoro e portafortuna più grande. Un oggetto che lo aveva effettivamente protetto in tutti quegli anni.

    Era ironico ma era tutto reale.

    Scosse il capo poi si rivolse a Seifer con un sorriso sincero e grato, dichiarando infine senza alcun imbarazzo un: «Sai… mi ha protetto per davvero… grazie».

    Seifer sbuffò un risposta e borbottando un: «Muovi il culo. Ti aspetto in macchina», si allontanò, permettendo però a Zell di scorgere le sue orecchie piacevolmente tinte di rosso.
    Note Conclusive:
    //
    code by #Michelle
  8. .
    Looking for a little bit of hope
    Fire Emblem Three Houses
    Lingua: Italiano
    Rating:
    Genere: Introspettivo
    Wordcount: 735
    Tipo Coppia: M/M
    Personaggi: Sylvain Jose Gautier, Felix Hugo Fraldarius
    Pairing: Sylvain/Felix
    Warnings: //
    hl4ZAmk
    Status:
    Info:
    Trama & Note:
    PROMPT
    Scrivere qualcosa con dei neonati/cuccioli al suo interno

    PARTECIPA A
    COWT10 @LandeDiFandom

    ALTRO
    //
    Era stata la capsula eiettabile a salvargli ancora una volta la vita quando tutti i sistemi del suo blindato avevano deciso di andare in avaria, forse surriscaldati da quel combattimento contro i daemon che andava avanti da ormai ore.
    Aveva fatto del suo meglio Loqi Tummelt. Aveva salvato la nipote dell'Imperatore, l'ultimo baluardo di speranza per la rinascita di Niflheim, ed aveva creato un diversivo per permettere ad Aranea di allontanarsi senza essere braccata da quei mostri.
    NOTE
    Non betata.
    «Un conto era morire lui lì, da solo, un altro era costringere quella creaturina a patire la sua stessa condanna.»
    La primissima cosa che Shu Itsuki pensò al suo ingresso ad Hogwarts, insieme alla delegazione di Beauxbatos per il Torneo Tre Maghi, fu un disgustato: "Questi inglesi non sanno vestire".


    Note Conclusive:
    //
    code by #Michelle
  9. .
    Lady Maialina
    Fire Emblem Three Houses
    Lingua: Italiano
    Rating:
    Genere: Introspettivo
    Wordcount: 665
    Tipo Coppia: M/M
    Personaggi: Sylvain Jose Gautier, Felix Hugo Fraldarius, OC!Guineviere
    Pairing: Sylvain/Felix
    Warnings: Omegaverse, Original Character, Future Fic, Post Time Skip
    nJr0V9K
    Status:
    Info:
    Trama & Note:
    PROMPT
    Scrivere qualcosa con dei neonati/cuccioli al suo interno

    PARTECIPA A
    COWT10 @LandeDiFandom

    ALTRO
    Immagine banner Djuraaah (utente cancellato)
    Quando a Sylvain venne permesso di entrare nella stanza di Felix venne investito dal forte e intenso odore del suo omega, familiare ma al tempo stesso differente.
    Gli girò un poco la testa ma riuscì a mantenere i piedi per terra e il suo equilibrio quando i suoi occhi si posarono sulla figura del suo compagno. Aveva i capelli sciolti ed arruffati che gli cadevano sulle spalle in modo scomposto, la pelle arrossata e sudata, piena di lentiggini scarlatte. Era palesemente stremato, ma la sua espressione era soddisfatta e felice, e Sylvain sapeva benissimo che il motivo di quella gioia risiedeva nel fagottino che stringeva tra le braccia.
    Fece qualche passo verso di lui, accostandosi al letto con attenzione, come se il fare un movimento azzardato o troppo rumoroso potesse spezzare quel momento quasi magico.
    NOTE
    Solita storia: next generation!
    Non betata.
    «"Sei proprio un idiota", commentò scuotendo il capo, "ma ti pare che tu debba chiamare nostra figlia 'maialina'?"»
    Quando a Sylvain venne permesso di entrare nella stanza di Felix venne investito dal forte e intenso odore del suo omega, familiare ma al tempo stesso differente.

    Gli girò un poco la testa ma riuscì a mantenere i piedi per terra e il suo equilibrio quando i suoi occhi si posarono sulla figura del suo compagno. Aveva i capelli sciolti ed arruffati che gli cadevano sulle spalle in modo scomposto, la pelle arrossata e sudata, piena di lentiggini scarlatte. Era palesemente stremato, ma la sua espressione era soddisfatta e felice, e Sylvain sapeva benissimo che il motivo di quella gioia risiedeva nel fagottino che stringeva tra le braccia.

    Fece qualche passo verso di lui, accostandosi al letto con attenzione, come se il fare un movimento azzardato o troppo rumoroso potesse spezzare quel momento quasi magico.

    «Ehi», lo salutò quieto. Felix mugugnò in risposta, alzando solo per un momento lo sguardo su di lui per poi riportarlo sul neonato, avvolto in una morbida copertina bianca.

    Sylvain sapeva che sarebbe diventato padre, e si era ripetuto all'infinito quelle parole, ma solo in quell'istante nel posare lo sguardo su suo figlio sentì che tutto quello era reale. Lui e Felix erano per davvero diventati genitori.

    Le gambe gli tremarono e sentì addirittura gli occhi pizzicargli per l'emozione, ma in qualche modo riuscì a ricacciare indietro le lacrime.

    Si sedette sul letto e, tendendo le braccia, poté finalmente prendere in braccio il neonato con attenzione ed emozione.

    «È una femmina», gli disse Felix. Aveva la voce roca e stanca, d'altro canto aveva passato oltre sei ore chiuso in quella stanza, in preda ai dolori del parto... e Sylvain sentiva di ammirarlo e amarlo ogni secondo di più.

    «Mh-mh», assentì osservando con un sorriso la creaturina. Era gonfia e rossa, e per quanto Sylvain si sentisse già innamorato di lei, non poté non lasciarsi sfuggire un: «Sembra un maialino con tutti questi rotolini di grasso», scherzò.

    «Sylvain», la voce di Felix si fece quasi minacciosa, ma sotto sotto era possibile sentire una piccola nota divertita.

    «Dico davvero, guardala!», rise piano.

    «È nostra figlia».

    «Sì, la nostra figlia maialina», ribatté e senza rendersene conto dai suoi occhi iniziarono a scorrere grossi lacrimoni, misti di felicità ed emozione.

    Felix sospirò ma accennò un sorriso.

    «Sei proprio un idiota», commentò scuotendo il capo, «ma ti pare che tu debba chiamare nostra figlia 'maialina'

    Sylvain tirò su con il naso, cercando di asciugarsi il viso con il braccio senza scuotere troppo la neonata.

    «Lo è... ma è ugualmente bellissima», pigolò, incapace di nascondere ulteriormente la sua commozione ed emozione, «grazie Fe...»

    «Fai bene a ringraziarmi. Perché non lo farò mai più», rispose deciso l'altro, «comunque... quali nomi avevamo pensato?», aggiunse poi, cercando di sviare il discorso, e Sylvain fu certo di aver visto anche nei suoi occhi brillare un primo accenno di lacrime, ma ovviamente decise di non commentare.

    «Per le femminucce avevamo pensato al nome di tua madre e di mia nonna paterna», rispose, «Blanche Isolde».

    Felix storse il naso.

    «No, non mi piace per niente», borbottò, strappando una bassa risata a Sylvain.

    «Va bene, va bene... quello di mia madre e di tua nonna materna. Millicent Lynette»

    «Perdonami, ma non chiamerò mai mia figlia come tua madre», sbottò ancora Felix.

    «Non è carino Milly come diminutivo?», scherzò.

    «Perché non la chiamiamo come mia zia? Belinda

    Sylvain emise un verso.

    «Ti prego no», mugugnò, riprendendo poi con i nomi che avevano scelto in precedenza, «avevamo anche il nome di mia nonna materna e tua nonna paterna, Guineviere Helena»

    A quella proposta il suo compagno emise un vago verso di approvazione.

    «Così si inizia a ragionare», accettò Felix, annuendo e sistemandosi meglio contro i cuscini del letto.

    «Quindi approvato?»

    «Approvato», mormorò Felix socchiudendo gli occhi.

    Il sorriso di Sylvain si allargò estasiato, e dopo aver guardato di nuovo la neonata, annunciò con tono solenne - ma altrettanto divertito -, il suo nome completo: «Allora benvenuta, Lady Maialina Guineviere Helena Fraldarius-Gautier».

    «Sylvain... sei un idiota».



    Note Conclusive:
    //
    code by #Michelle
  10. .
    Lavoro Sporco
    Pokémon
    Lingua: Italiano
    Rating:
    Genere: Introspettivo
    Wordcount: 7540
    Tipo Coppia: M/M
    Personaggi: Dandel, Laburno, OC!Alani
    Pairing: Laburno/Dandel
    Warnings: Original Character, Established Relationship, Future Fic
    5lJYC0K
    Status:
    Info:
    Trama & Note:
    PROMPT
    Scrivere qualcosa con dei neonati/cuccioli al suo interno

    PARTECIPA A
    COWT10 @LandeDiFandom

    ALTRO
    //
    Quella era la prima volta, da quando era nata Alani, che Dandel la lasciava da sola con Laburno. E per quanto si fidasse del suo compagno, non poteva fare a meno di sentirsi un poco agitato all'idea di dover restare per mezza giornata lontano da sua figlia.
    Sapeva perfettamente che Alani si trovava in ottime mani perché Laburno era un padre fantastico e attento, ma... Alani era anche figlia sua e Dandel voleva restare con lei in ogni secondo della sua esistenza.
    NOTE
    Non betata.
    «"Sei diventato un padre iper-protettivo", lo prendeva in giro Hop, e Dandel, senza alcuna vergogna rispondeva di sì»
    Quella era la prima volta, da quando era nata Alani, che Dandel la lasciava da sola con Laburno. E per quanto si fidasse del suo compagno, non poteva fare a meno di sentirsi un poco agitato all'idea di dover restare per mezza giornata lontano da sua figlia.

    Sapeva perfettamente che Alani si trovava in ottime mani perché Laburno era un padre fantastico e attento, ma... Alani era anche figlia sua e Dandel voleva restare con lei in ogni secondo della sua esistenza.

    «Sei diventato un padre iper-protettivo», lo prendeva in giro Hop, e Dandel, senza alcuna vergogna rispondeva di sì, era diventato iper-protettivo ma non poteva farne a meno: Alani troppo piccola e adorabile, andava per forza protetta.

    In ogni caso, per quanto avesse tentato di delegare e di rimandare i suoi impegni, Dandel si era ritrovato non solo a dover partecipare di persona ad una riunione con gli altri membri dello staff della Torre Lotta, ma anche a verificare con il team di manutenzione il funzionamento di alcuni strumenti. Tutte cose che gli avrebbero portato via ore e ore della sua vita.

    "Chissà se ora Laburno le sta dando da mangiare", si chiese guardando distrattamente l'ora.

    "Sicuramente ora starà cercando di farla addormentare... ci riuscirà senza di me?", proseguí quindici minuti dopo.

    "Sentirà la mia mancanza?", si domandò infine neanche due minuti dopo, emettendo un verso disperato che attirò su di sé gli sguardi di tutti i presenti alla riunione.

    Imbarazzato, Dandel arrossì un poco.

    «Scusate, ero distratto», si scusó, ridacchiando e grattandosi la nuca.

    «Forse è meglio prendere una pausa, così magari ci rinfreschiamo le idee...», propose una ragazza con gentilezza, sorridendo a Dandel.

    «Si è magari chiamiamo a casa per sapere come sta nostra figlia», aggiunse un'altra, con tono malizioso e divertito, strappando una risata a tutti i presenti, Dandel compreso.

    Si trovarono in ogni caso tutti d'accordo nell'accettare quella pausa, e il giovane uomo si fiondó subito nel giardino della Torre, con il cellulare in mano.

    Furono tuttavia delle notifiche a impedirgli di digitare il numero di casa e ad attirare tutte le sue attenzioni.

    Provenivano da InstaPokè ed erano tutte appartenenti a Laburno.

    Era facile intuirne il contenuto ed infatti, nell'aprire pagina dell'account del suo compagno vide apparire una lunga sfilza di foto fatte ad Alani.

    Alani con il suo peluche preferito.

    Alani con una cuffietta con le orecchie di Eevee.

    Alani che dormiva sbavando.

    Alani. Alani. Alani. Era lei l'adorabile protagonista assoluta di quelle foto.

    In qualche modo Dandel riuscì ad evitare di emettere un "awwww" estasiato, ma non poté fare a meno di sentire il suo cuore riempirsi di gioia e amore - e sentire anche il bisogno di richiamare Charizard e pregarlo di riportarlo a casa dalla sua famiglia.

    Una nuova notifica però lo costrinse a riportare lo sguardo sullo schermo: Laburno aveva appena pubblicato una storia.

    La aprì curioso e per poco non gli volò via il cellulare dalle mani mentre veniva scosso dalle risate.

    Sullo schermo vi era il viso disperato di Laburno e tante emoticon a forma di cacchetta a formare un cuore sopra il visino di Alani, e la scritta: "Mi avevano detto che fare il genitore era un lavoro duro. MA NON AVEVANO PARLATO DEL LAVORO SPORCO".


    Note Conclusive:
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  11. .
    Di Sonagli e Vestitini Rosa
    Pokémon
    Lingua: Italiano
    Rating:
    Genere: Introspettivo
    Wordcount: 520
    Tipo Coppia: M/M
    Personaggi: Hop, Beet, OC!Yvette
    Pairing: Hop/Beet
    Warnings: Future Fic, Established Relationship, Original Character
    gw5SCoQ
    Status:
    Info:
    Trama & Note:
    PROMPT
    Scrivere qualcosa con dei neonati/cuccioli al suo interno

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    COWT10 @LandeDiFandom

    ALTRO
    //
    Beet, neanche volendolo, sarebbe riuscito a negare l'adorabilità della scena che gli si presentó davanti al suo rientro a casa.
    Yvette gorgogliava felice tra le braccia di Hop, tendendo le piccole e paffute manine verso un sonaglio a forma di Wooloo che il padre doveva averle preso da Furlongham.
    Erano carini e il cuore di Beet fu sul punto di sciogliersi per la felicità - amava la sua famiglia -, ma al tempo stesso non poté non emettere un sospiro esasperato.
    NOTE
    Potranno sembrare OOC, ma sono due adulti e per me la loro relazione è… stupida XD e rosa. Soprattutto rosa LOL
    Non betata.
    «Le piace perché è un Wooloo»
    Beet, neanche volendolo, sarebbe riuscito a negare l'adorabilità della scena che gli si presentó davanti al suo rientro a casa.

    Yvette gorgogliava felice tra le braccia di Hop, tendendo le piccole e paffute manine verso un sonaglio a forma di Wooloo che il padre doveva averle preso da Furlongham.

    Erano carini e il cuore di Beet fu sul punto di sciogliersi per la felicità - amava la sua famiglia -, ma al tempo stesso non poté non emettere un sospiro esasperato.

    «Sei serio? Un altro sonaglio?», domandò, scuotendo il capo con una mano sul fianco.

    Gli occhioni dorati del suo compagno di sollevarono verso di lui, innocenti e divertiti.

    «L'ho visto al mercatino di paese e ho pensato che le sarebbe piaciuto», rispose sincero.

    «Le piace a prescindere. Non capisce neanche che cosa è ma da rumore. È ovvio che le piaccia», ribatté Beet.

    Non che Hop avesse fatto chissà quale crimine impronunciabile, ma da quando era nata Yvette non aveva fatto altro che acquistare giochi, bambole e sonagli, che puntualmente venivano dimenticati con l'arrivo del nuovo giocattolino.

    «Le piace perché è un Wooloo», si difese Hop senza smettere di sorridere, «vero Yvette?»

    La piccolina, che finalmente era riuscita ad afferrare il sonaglio, lo infilò in bocca succhiandolo con un'espressione beata.

    «Per me questo è un sì», decretò con sicurezza, sistemandosi meglio tra le braccia la figlia.

    Beet sospirò ancora.

    «D'accordo… ma smettila con lo shopping complulsivo», lo riprese ancora, sperando di convincere Hop a porre fine a quegli acquisti sconsiderati.

    Trovava dolce l'affetto e le attenzioni che venivano rivolte a Yvette - anzi, amava che Hop fosse così affettuoso nei confronti della loro bambina, perché era in quel modo che Beet aveva sempre sognato che fosse una vera e propria famiglia -, ma tutti quei giocattolini per qualcuno che era pronto a succhiare anche una scarpa erano troppi.

    «Shopping compulsivo? Compro solo ciò che penso le piaccia, non vado a svuotare le bancarelle o i negozi», esclamò, socchiudendo gli occhi in un'espressione furba, «e poi non sono mica io quello che ha comprato un intero guardaroba rosa giusto due giorni fa».

    Colpito nel segno, Beet sgranó gli occhi portandosi una mano al petto con fare quasi teatrale, pronto a difendere i suoi acquisti, ben più utili di quel sonaglio.

    «Vuoi davvero mettere a paragone degli indumenti con dei giocattolini? I vestiti le servono», ribatté, «sta crescendo e ciò che indossa ora non le starà tra un mese. Per non parlare del fatto tra un po' inizierà l'inverno e dovrà indossare abiti più pesanti. Inoltre il rosa è il suo colore, sta bene con la sua carnagione e pretendo che mia figlia sia sempre perfetta».

    «Lo so. Ma hai letteralmente svaligiato il negozio di Goalwick!», rise Hop, cullando Yvette.

    «Questi… sono dettagli», borbottò Beet, piegando però le labbra in un piccolo sorriso.

    «Facciamo che siamo pari?», domandò Hop, alzandosi finalmente in piedi per poter baciare la fronte del suo compagno.

    Beet chiuse gli occhi, sollevando il viso per potersi prendere un vero bacio.

    «Va bene», mormorò alla fine.

    La sua famiglia era così adorabile che… poteva sopportare anche l'ennesimo sonaglio.


    Note Conclusive:
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    code by #Michelle
  12. .
    Baby Steps
    Kuroko no Basket
    Lingua: Italiano
    Rating:
    Genere: Introspettivo
    Wordcount: 19160
    Tipo Coppia: M/M
    Personaggi: Nijimura Shuuzou, Haizaki Shougo, Kise Ryouta, Aomine Daiki, Padre di Nijimura (Nijimura Tetsuji), OMC!Nijimura Keiichi
    Pairing: Nijimura/Haizaki (Aomine/Kise)
    Warnings: What if? (E se…), Future!Fic, Perdita di Memoria, Riabilitazione Fisica, Amicizia HaiKise
    FpOCigl
    Status: Y8MVAAv
    Info:
    Trama & Note:
    PROMPT
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    //

    DEDICHE
    A Lera, a Nari e a Rotina

    La prima cosa che Nijimura sente quando inizia a svegliarsi è un rumore: il regolare e fastidioso segnale acustico di una macchina che associa, istintivamente, a quelle ospedaliere - e quasi si sorprende nel rendersi conto che al solo pensiero di un ‘ospedale’ quel suono sembra subito farsi irregolare. Vorrebbe soffermarsi un po' di più su quel suono e cercare di capire esattamente da dove proviene, ma si ritrova costretto ad ammettere di essere parecchio confuso e non in grado di mettere in fila più di un pensiero sensato. Infatti, quando sente un: «Si sta svegliando! Chiamo subito l'infermiera!», gli viene spontaneo domandarsi stupidamente: "Chi si sta svegliando? Io?"
    NOTE
    Fic vecchia (2016) ma resta tutt'ora una delle mie preferite.
    «Non esiste un metodo meno traumatico per dare una notizia simile, ma… questo non è il 2014. È il 2029»
    Nonostante Shuuzou fosse riuscito a dormire il primo giorno del suo rientro a casa, si era successivamente ritrovato ad affrontare una delle conseguenze più spiacevoli dei traumi cerebrali: l'insonnia.
    Era esausto, tanto fisicamente quanto emotivamente, e anche se a rigor di logica avrebbe dovuto essere facile crollare addormentato, quando si stendeva sul suo letto gli sembrava quasi impossibile riuscire a riposare. Era frustrante e gli faceva rabbia, soprattutto se unito al fatto di non potersi spostare come voleva - fare anche solo il breve tragitto dal letto al bagno era un’impresa. Era quasi una minaccia alla sua salute mentale.
    “Non che non sia già compromessa da questa cazzo di amnesia”, si dice nervoso, premendo le nocche delle mani sugli occhi e prendendo un bel respiro, che lascia poi scappare via accompagnato da un lamento.
    Quell’insonnia, per lui, non ha senso. Per quanto sia strano, si sente a suo agio in quella casa e nonostante i frequenti ma scherzosi battibecchi Haizaki è fantastico - lo è davvero, in un modo quasi imbarazzante! -, inoltre ha anche rivisto entrambi i suoi genitori e i suoi fratellini, e per quanto vederli così grandi sia stato uno shock, si è anche sentito fiero di loro. Quindi, escludendo l’amnesia e l’impossibilità di spostarsi autonomamente, sta andando tutto bene e l’insonnia è solo uno stupido pretesto della sua testa per farlo impazzire.
    “Potrebbe andarti peggio… potresti avere l’emicrania”, si incoraggia, abbassando le braccia per usarle poi per sollevarsi in un posizione seduta… aggiungendo mentalmente un “E se c’è qualcosa che dovrebbe farmi sentire a disagio, dovrebbe il fatto che sia Haizaki ad aiutarmi a lavarmi, non altre cazzate”, non appena vede l’altro uscire dal bagno con le maniche della maglia arrotolate fin sopra i gomiti.
    «Sei pronto?», gli chiede con un sorrisetto.
    «Sì...», annuisce. È consapevole del fatto che sarebbe impossibile per lui entrare e uscire dalla vasca senza alcun aiuto, per non parlare della gamba alla quale va cambiata la fasciatura.
    Ha bisogno di Haizaki anche se è imbarazzante, e di conseguenza non può far altro se non ricordargli per l’ennesima volta che l’avrebbe ammazzato se solo si fosse azzardato a fare delle battute - promemoria inutile: l’altro non avrebbe mai collegato la lingua al cervello, era pur sempre Haizaki.
    Sospira e in qualche modo, sorretto dall’altro, riesce a tirarsi in piedi e a tenersi in equilibrio con le stampelle.
    «Prenditi il tuo tempo», lo incoraggia Haizaki e Shuuzou, tenendo le labbra strette per lo sforzo, annuisce. Si concentra solo sui passi che deve fare, trovando la presenza dell’altro uomo rassicurante anche solo per quel breve tragitto - si sta abituando e, sinceramente, non gli dispiace.
    Una volta in bagno viene accolto da un piacevole tepore e dall’invitante vasca da bagno piena di schiuma bianca, sormontata da una leggera coltre di vapore. Si trattiene dal sorridere, preferendo invece concentrarsi sull’ultimo sforzo che lo porta a sedersi sulla sedia che Haizaki aveva posizionato accanto alla vasca. Solo in quell’istante si concede un profondo respiro per rilassarsi e lasciar scorrere via la tensione muscolare. Nonostante la stanchezza fisica, e soprattutto il suo stato emotivo, non può fare a meno di notare un qualcosa che gli fa quasi gonfiare il petto per un moto d’orgoglio: si è mosso un po’ più velocemente delle volte precedenti. È ancora ben lontano dal compiere dei movimenti liberi e meno legati, ma vede un miglioramento.
    “Cerchiamo di essere positivi”, prova a incoraggiarsi.
    «Vuoi una mano per spogliarti?», gli chiede Haizaki poco dopo, riscuotendolo dai suoi pensieri.
    «… solo per i pantaloni», ammette, certo di non potersi permettere di stare in equilibrio su una gamba solo per spogliarsi. Non era stato facile per lui mettere da parte sia l’orgoglio che l’imbarazzo ed accettare quella proposta, ma sin dal secondo giorno della sua dimissione si era dovuto scontrare la consapevolezza di non poter contare sulla costante presenza di suo padre, che l’aveva aiutato in quelle situazioni durante il ricovero, quindi Haizaki si era rivelato la sua unica alternativa. Certo, prova ancora un certo disagio all'idea di avere le mani dell’altro addosso, ma quella sensazione fortunatamente scompare quasi subito quando si rende conto dello stesso nervosismo di Haizaki.
    Teme di fargli male? Di spaventarlo? Non sa come interpretare il suo atteggiamento, ma quanto meno in quel modo riesce a sopportare l’idea di farsi spogliare.
    Con un ulteriore sforzo, riesce alla fine a immergersi nella vasca, emettendo un sospiro sollevato nel lasciarsi abbracciare da quel tepore e dal profumo.
    «Ti lavo la schiena», lo avverte Haizaki, prendendo la spugna.
    «Sei nervoso», gli fa presente Shuuzou senza rendersene conto.
    «Mh?»
    «Quando mi… spogli», spiega, sentendosi uno stupido anche solo per aver avuto la necessità di trovare una spiegazione all’atteggiamento dell’altro. Poteva benissimo vivere senza saperlo!
    «Tuo padre mi ha detto che mi avrebbe ammazzato se ti avessi fatto qualcosa di strano», risponde però Haizaki con una risata, «E per quanto Tetsuji-san mi adori, sono ben disposto a credere alle sue minacce».
    Nijimura non può non ridere a sua volta per la confessione dell’altro, lasciando scorrere via l’imbarazzo.
    «Tralasciando il fatto che sarei io ad ammazzarti con le mie stesse mani… da quando in qua mio padre ti adora?», gli chiede.
    «Da quando mi hai ‘presentato’ come tuo fidanzato», ribatte iniziando a lavargli la schiena. Shuuzou rabbrividisce quasi per istinto nel sentire la spugna contro la sua pelle, trovando però ‘incompleta’ la spiegazione dell’altro.
    «Spiegati meglio, idiota!», risponde, iniziando a sua volta a lavarsi.
    «Non c’è molto da dire», riprende Haizaki, «Sai… ci stavamo frequentando da tempo, e un giorno Tetsuji-san ci ha beccati in camera tua».
    «… come scusa?!», esclama a quel punto, voltandosi di scatto verso l’altro. Non può aver sentito bene.
    «Preferirei evitare i dettagli ‘piccanti’ mentre sei nudo~», ribatte Haizaki con un ghigno, ricevendo in pieno viso una spugna bagnata.
    «Fai meno il coglione!», ringhia imbarazzato Shuuzou. L’affermazione di Haizaki sembra non avere bisogno di ulteriori spiegazioni, ma stenta ugualmente a credere di aver fatto una cosa simile! Cosa gli era saltato in mente?
    «Se ti consola, avevamo ancora le mutande addosso», ride l’altro asciugandosi il viso, «Non era successo niente di che in realtà… tuo padre era solamente rientrato prima a casa, ci aveva sentito discutere ed era entrato in camera».
    «Voglio morire...», mugugna Shuuzou, coprendosi il viso con le mani.
    «L’avevi detto anche quella volta».
    «Mi pare ovvio!»
    «In ogni caso, ricordo che ci eravamo rivestiti e che l'avevano raggiunto in salotto. E potrei ripetere parola per parola il suo discorso, perché non credo di essermi mai sentito così in soggezione come in quel momento», ammette Haizaki, «Lì hai deciso di presentarmi come ‘il tuo ragazzo’ e tuo padre mi ha preso per il colletto e mi ha detto: “Vedi il mio piede? Se fai soffrire mio figlio te lo ficco su per il culo”», prosegue imitando gli tono di Tetsuji.
    «Tipico di mio padre...», mormora.
    «Ero terrorizzato ma... tuo padre mi è piaciuto sin da subito, perché era così che mi immaginavo una figura paterna, non avendone mai avuta una. E credo che Tetsuji-san, dopo averlo scoperto, abbia voluto ‘prendermi sotto la sua ala protettiva’ al di là del mio rapporto con te...»
    «Ah...»
    Nijimura si sente ancora nervoso e imbarazzato per quelle rivelazioni, ma in un certo qual modo non può non sentirsi in parte anche divertito dal disastro che avevano rischiato di combinare.
    “Dovevo proprio essere pazzo di lui per portarlo a casa in quel modo…”, pensa sentendo il viso andare subito in fiamme, costringendosi poi a mantenere il silenzio per qualche altro minuto. Vorrebbe parlare in realtà, fargli altre domande, ma preferisce soppesare ogni parola di Haizaki e cercare un appiglio o un qualsiasi ricordo che, come ormai d’abitudine dal suo risveglio, non riesce a trovare.

    -----

    Tra tutte le stanze della casa, quella che Shuuzou preferisce è sicuramente il salotto. Vorrebbe dire di provare un senso di familiarità per quella stanza, in modo da dare una spiegazione alla sua preferenza, ma sarebbe una menzogna visto che in realtà si tratta di un motivo alquanto futile: è l’arredamento a piacergli.
    È abbastanza grande e spazioso, dalla sua posizione - affondato sui cuscini di un comodo e morbido divano angolare, compagno immancabile delle lunghe ore che è costretto a trascorrere lì - Nijimura può non solo vedere la televisione, ma anche osservare il giardino attraverso la vetrata e tutti i mobili, costruiti con un legno marrone che si sposavano bene con le pareti tinte con un arancio tenue, quasi giallo. Tutto quell’insieme di colori gli fa provare un piacevole e rilassante calore infatti, nonostante l’insonnia, è riuscito più volte ad appisolarsi su quei cuscini, ed anche se al suo risveglio si sente stanco tanto quanto prima, è comunque piacevole sapere di aver trovato quel piccolo angolo di pace.
    Si sente infatti sul punto di addormentarsi, complice forse il bagno che ha rilassato i suoi muscoli - nonostante gli argomenti imbarazzanti - ed il delicato profumo del bagnoschiuma che sente emanare dalla sua pelle, ma si costringe a tornare un po’ più vigile quando vede Haizaki senza le solite maglie che è solito indossare a casa.
    “Sembra pronto per uscire…”, nota, facendo scorrere le sguardo sui jeans scuri e la felpa chiara, “E non sarebbe una novità…”, aggiunge. Ogni giorno, spesso dopo l’arrivo di suo padre, si prende qualche ora per uscire fuori casa.
    «È giunto il momento», dichiara Haizaki con tono solenne, strappandolo alle sue analisi.
    «Mh?»
    «Devi giocare a Love Live», prosegue fermandosi davanti a lui e sventolandogli davanti al viso un tablet, «Il gioco non riceve aggiornamenti da anni ma… ho un emulatore per vecchi Apk~», spiega Haizaki, sedendosi di peso accanto a Shuuzou.
    «Rovinerai il divano tuffandoti in questo modo», lo riprende subito Nijimura, «E non vedo perché dovrei giocarci!»
    «Perché è divertente e perché devo uscire», risponde, «Almeno non ti annoierai in mia assenza, visto che Tetsuji-san oggi non può venire», conclude, rivolgendo lo sguardo sullo schermo del tablet per avviare l’applicazione.
    «Ancora mi chiedo come fai a conoscerlo… non ti si addice», borbotta per poi insistere con un: «In ogni caso… perché dovrei giocare proprio a Love Live?!», trovando però impossibile non abbassare lo sguardo sulla schermata di gioco.
    «Perché non dovresti?», ritorce Haizaki, scorrendo con le dita le varie canzoni prima di selezionarne una ed iniziare a giocare… lasciando Nijimura sia seccato che sorpreso per la sua abilità.
    «Ci stai giocando tu però… non dovevo farlo io?», commenta, ricevendo in risposta un mugugno concentrato. Le dita di Haizaki continuano a muoversi veloci sullo schermo, colpendo a ritmo di musica i cerchi che si avvicinavano a dei pallini con i visi delle idol… e Shuuzou, per quanto sia sinceramente ammirato, non può non sentire la necessità di rovinargli la combo.
    Infatti, ghignando, si sporge verso di lui, soffiandogli delicatamente il collo e l’orecchio, cosa che strappa ad Haizaki un sussulto, costringendolo a perdere il ritmo.
    «Shuuzou!», esclama subito, «Mi hai fatto mancare la Full Combo!»
    «Lo so», risponde con un sorrisetto compiaciuto.
    «Sei proprio uno stronzo!», sbuffa Haizaki senza però mostrarsi per davvero offeso, anzi: Nijimura è certo di aver intravisto un lampo di ilarità nei suoi occhi, «Tieni, vediamo quanto fai schifo», prosegue l’altro dandogli il tablet.
    Shuuzou ridacchia iniziando a sua volta a scorrere tra le canzoni prima di sceglierne una a caso in modalità normale. Non ha mai amato i giochi di quel genere, ma quella situazione lo diverte e, cosa non meno importante, vuole battere Haizaki.
    «Sai che potrei… vendicarmi, vero?», lo avverte l’altro con un tono calmo non appena inizia la canzone.
    «Vuoi forse morire?», mormora Nijimura, concentrandosi sul gioco e non sulla risata di Haizaki - che gli fa comunque guadagnare un misero ‘Good’ e perdere sin da subito un probabile Full Combo. Sente di doversi aspettare per davvero la vendetta dell’altro e, in qualche modo, si sente anche divertito all’idea. Si ritrova infatti a perdere più volte il ritmo, una volta quando lo sente alzarsi dal divano ed allontanarsi - forse per entrare in cucina - e poi anche quando, con la coda dell’occhio, lo vede rientrare.
    Solo al termine della canzone - non ha battuto il record di Haizaki, almeno per il momento -, vede le patatine e la bottiglia di coca-cola che l’altro ha deciso di portargli.
    «Come sospettavo: hai fatto schifo», commenta Haizaki, sbirciando il risultato.
    «Era solo la prima partita, non cantare vittoria!», ribatte, per poi aggiungere un: «… dove stai andando?»
    Conosce già la risposta a dirla tutta, ma gli viene spontaneo fargli quella domanda.
    «Da Ryouta», risponde tranquillo Haizaki, prendendo una manciata di patatine per infilarsele poi tutte in bocca - spargendo briciole ovunque.
    «… vai spesso da lui», constata Nijimura, «Tutti i giorni».
    «Che vuoi che ti dica? Ryouta è una fighetta che ha bisogno del suo migliore amico per sopportare il marito», commenta leccandosi le dita.
    Nijimura, però, non riesce a credere alla sua affermazione. Sente che si tratta di qualcosa di diverso, ma è altrettanto palese che Haizaki non abbia alcuna intenzione di dirgli la verità.
    «Torno tra un’ora», prosegue.
    «Potresti far venire qui Kise e Aomine», borbotta, facendo partire la stessa canzone nel gioco, cercando in quel modo di scacciare la sensazione di ‘vuoto’ causata da quel segreto che Haizaki sembra voler mantenere.
    «Magari un giorno», risponde l'altro abbassandosi velocemente per baciare la guancia di Nijimura, mormorando sulla sua pelle un: «Ci vediamo dopo~».
    Shuuzou sussulta per quel contatto, e in rapida successione la barra degli LP del gioco si azzera, a causa dei numerosi errori, mentre il suo viso si colora di rosso.
    «H-Haizaki!»
    «Vendetta. Dolce vendetta~», ride l’altro, dandosi prontamente alla fuga, «A dopo!», lo saluta un'ultima volta, sparendo del tutto dalla vista di Nijimura.
    Shuuzou resta immobile per un momento prima di portare entrambe le mani sul volto accaldato.
    «Maledetto Haizaki», mugugna imbarazzato. Sente il cuore battergli forte in petto e anche la voglia di ridere come un cretino, e quelle sensazioni sono talmente stupide e assurde che, se non si conoscesse, sarebbe pronto a definirsi ‘una ragazzina innamorata’. Quel pensiero però ne fa nascere istintivamente un altro: “Mi sto innamorando di Haizaki?!”
    Vorrebbe quasi sbuffare un: “Assurdo!”, ma sa benissimo che, anche se non se lo ricorda, lui si era già innamorato di Haizaki e tutto quello non gli sembra poi così senza senso.
    Sospira, lasciandosi andare contro lo schienale del divano.
    “No, non è per niente assurdo…”, si concede, massaggiandosi le tempie. Cerca di allontanare i pensieri da quindicenne per cercare di comportarsi da trentenne, e soprattutto di non ragionare con un’altra parte del corpo che non sia la testa.
    Haizaki gli piace. È maturo, ma anche infantile. Riesce a farlo ridere e anche arrabbiare. E anche se sa di non aver amato l’Haizaki delle medie, sa di essersi innamorato di quello che è diventato e di tutte le battaglie che ha combattuto per diventare l’uomo che sta imparando a conoscere.
    Non è certo se quel pensiero debba o meno farlo sentire meglio, ma di sicuro sente nel petto un calore piacevole e non crede sia un qualcosa di negativo.

    ----

    È a una settimana e mezzo dal rientro di Shuuzou a casa che Haizaki annuncia di voler iniziare la terapia riabilitativa.
    «Ti vedo più stabile e credo di poter iniziare almeno con dei massaggi per stimolare i muscoli», gli ha spiegato, e Nijimura non è riuscito a non sentirsi vagamente eccitato all’idea.
    Continua a soffrire d’insonnia - in modo più lieve, fortunatamente -, e i suoi ricordi sono ancora prigionieri di chissà cosa, ma dopo aver accettato e analizzato i suoi sentimenti per Haizaki, Shuuzou ha definitivamente smesso di pensare come un trentenne - o quanto meno come una persona matura - per lasciarsi trasportare dalle emozioni. Sa di non essere un quindicenne, ma tutte quelle sensazioni per lui sono nuove, non ricorda di averle già vissute, e… non capita tutti i giorni di potersi innamorare di nuovo del proprio compagno.
    Si sente più positivo, è quella la verità, ed anche se continua a trovare sospette le visite giornaliere di Haizaki a casa di Kise, Shuuzou si sente ben disposto ad accettarle - in fondo, la situazione è pesante anche per Haizaki, ed è comprensibilmente il suo probabile bisogno di sfogarsi… solo che talvolta Nijimura tende a pensare solo a se stesso e alla sua condizione, dimenticandosi di quel dettaglio tutt’altro che trascurabile.
    Ciò che tuttavia non si aspettava è di dover affrontare i suoi ormoni. Può anche aver accettato di vivere la nascita dei suoi sentimenti, ma l’idea di ritrovarsi con delle erezioni inappropriate alla sola idea di avere le mani di Haizaki addosso, non rientra nelle sue priorità.
    “Mi sono trasformato in un maniaco o cosa?!”
    In ogni caso, da quando è stato dimesso, ha visto solo una volta la piccola palestra che Haizaki utilizzava per lavorare, e solo in quel momento le sta dedicando un’attenzione in più. C’è un lettino regolabile, una scala con scalini di varie altezze, due spalliere, delle sbarre e molti altri attrezzi e materassini riposti ordinatamente in un angolo. Gli è sembrato tutto molto professionale, interessante ma poco eccitante la prima volta... poi si è ritrovato disteso su quel lettino e i suoi pensieri sono andati verso tutt'altra direzione.
    «Sembri nervoso», nota Haizaki, mettendo dei guanti. Sembra davvero professionale oltre che sexy.
    “FRENA SHUUZOU!”, urla dentro sé.
    «Non ho mai fatto una cosa simile», risponde tentando di mantenere un tono di voce che cerca di mantenere neutro, seguendo ogni movimento di Haizaki con lo sguardo.
    «Solo perché non te lo ricordi~», ribatte l’altro, iniziando sin da subito a massaggiargli delicatamente la gamba per stimolare i muscoli.
    Nijimura si lascia scappare un mezzo verso sorpreso quando sente le mani di Haizaki, ma stringendo le labbra cerca di dare peso solo alle sue parole.
    «Ho… avuto bisogno di fare terapia altre volte?»
    «Fortunatamente no», ghigna l’altro, «Ma ami lasciarti massaggiare da me~», conclude, continuando a muovere le mani sulla coscia, premendo i muscoli e massaggiandoli con attenzione.
    La sua affermazione, ovviamente, fa avvampare Shuuzou e subito la sua mente inizia a galoppare verso fantasie inadatte.
    «Un'altra parola e sei un uomo morto», borbotta, tentando di allontanare le immagini ben poco caste che la sua testa gli sta mostrando, aggrappandosi al fatto che per quanto Haizaki lo stia stuzzicando, sta ugualmente svolgendo il suo lavoro. Non c'è niente di sessuale, ma il suo corpo sembra pensarla diversamente. Sente i muscoli tirare mentre Haizaki lo aiuta a piegare lentamente la gamba e sente anche la presa delle sue mani, forti e sicure, sulle cosce. Stringe le labbra, non può pensare a ‘certe cose’. Non può desiderare di più e, soprattutto, non vuole che Haizaki se ne renda conto.
    «Hn...», si lascia però sfuggire, pregando di non essersi eccitato e che l’altro non si accorga del suo palese disagio.
    «Se ti fa male e vuoi riposarti dimmelo. Non devi correre», gli dice però Haizaki tranquillo e, ovviamente, anche un po’ preoccupato.
    «Ti odio», sibila in risposta Shuuzou.
    «Sai che non è vero», ride l’altro.
    Già, lo sa fin troppo bene ma per il momento non se la sente di confessare i suoi sentimenti. Certo, sarebbe una buona notizia che forse rallegrerebbe Haizaki, ma si sente anche imbarazzato all’idea di confidarsi.
    «Più tardi verrà tuo padre», gli ricorda Haizaki, riuscendo inconsciamente a far tornare Shuuzou alla realtà.
    «E tu andrai da Kise», deduce subito alzando lo sguardo verso il viso dell'altro. Nota una leggera tensione negli occhi di Haizaki, quasi preoccupazione…
    «Già», annuisce.
    «Sei sicuro che vada tutto bene?», gli chiede.
    Come può aiutarlo se non gli parla? Vivono entrambi quella situazione, in modo diverso ma… sono in due.
    «Sei preoccupato?», insinua Haizaki in risposta, schivando in qualche modo la manata che Shuuzou cerca di rifilargli.
    «Tsk...», sbuffa Nijimura, costringendosi poi ad ammettere: «Lo sono, okay? Sei mio marito, no? E se hai dei problemi dovresti parlarne con me».
    «Stai finalmente iniziando a considerarmi tuo marito? Mi sto per commuovere~»
    «Smettila di fare la testa di cazzo, Haizaki! Sono serio!», esclama stizzito.
    «Lo sono anche io», risponde però l’altro, «È bello sentirti dire queste cose ma… ho bisogno di stare queste ore da Ryouta. Non voglio scappare né sto cercando di non affrontare il problema… ma...»
    «Ma è qualcosa che non puoi… fare con me», conclude Shuuzou.
    «Già…»
    «D’accordo», si trova costretto ad annuire, mordicchiandosi le labbra prime di riuscire a proseguire con un: «E comunque, anche se non ricordo ancora niente, non significa che non… tenga a te, okay?», dichiara, afferrandogli una mano, sentendo il viso rosso per l’imbarazzo.
    «Lo so, Shuuzou… grazie», annuisce Haizaki, ricambiando la stretta e regalandogli un sorriso sincero che fa balzare il cuore di Nijimura in petto.

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    Per quanto le visite di Haizaki a casa di Kise continuino a lasciargli dei leggeri dubbi, Nijimura non può non sentirsi felice di poter passare del tempo con suo padre. Gli ultimi ricordi della sua ‘vita normale’, riguardano la sua malattia e il timore di perderlo, quindi poter stare con lui, anche solo a guardare un film o degli incontri di karate alla TV, lo riempie di gioia. È come avere una seconda possibilità e si sente fortunato ad avere quell’occasione.
    Tuttavia, quella sera i suoi pensieri continuano inesorabili ad andare verso Haizaki, distraendolo dal match di karate che stanno guardando, e la cosa lo irrita parecchio. Ha accettato i suoi sentimenti, ma continua a sentirsi a disagio: non sa assolutamente come comportarsi.
    Sbuffa quasi impercettibilmente, attirando suo malgrado le attenzioni di suo padre.
    «Cosa ti turba, Shuuzou?», gli chiede infatti e, istintivamente, Nijimura cerca di correre ai ripari.
    «Niente di importante...», mente, forse anche un po’ stupidamente.
    «Cazzate».
    È sempre stato impossibile per lui mentire a suo padre o nascondergli qualcosa. Ama il loro rapporto e non saranno i suoi sentimenti per Haizaki o l’amnesia a cambiarlo.
    «È… complicato», risponde infatti dopo qualche momento, «Credo di… essermi innamorato di Haizaki», ammette.
    «...»
    «Lo so che è assurdo! Siamo sposati ed è ovvio il fatto che sia innamorato!», esclama, liberando le parole come un fiume in piena, trovandolo ben più facile del stare in silenzio, «Ma non me lo ricordo. Non so come ci siamo innamorati… e per me è tutto nuovo e mi sento a disagio, ma anche felice...»
    «Non ti ha fatto niente di strano, vero?»
    «L’avrei già ucciso», risponde Shuuzou, trovando impossibile non sorridere per la preoccupazione del padre, «Ma non è questo il punto… non so come comportarmi con lui...»
    «Abbiamo già avuto un discorso simile», risponde Tetsuji.
    «… davvero?»
    «Sì. Ti ha detto come ci siamo conosciuti, vero?»
    Shuuzou non può non diventare rosso, mugugnando un imbarazzato: «Sì...»
    «E sai perché non ti ho riempito di calci?», prosegue, riprendendo poi a parlare dopo aver ricevuto un cenno di diniego da parte di Nijimura, «Perché mi avevi già detto di esserti innamorato e di non sapere come comportarti».
    «Ah...»
    «Avevi detto che si trattava di una testa di cazzo e che il più delle volte non sapevi se prenderlo a pugni o baciarlo. Che lo ammiravi perché in qualche modo stava cercando di rimettere in sesto la sua vita e che volevi farne parte», gli racconta, «Ed io ti ho solo detto di farlo. Di fare parte della sua vita se era quello che desideravi per davvero. Stava a te decidere se buttarti o meno».
    «A quanto pare l’ho fatto...», constata, concedendosi un altro piccolo sorriso, «Ora però è diverso… Haizaki è fantastico… e fa già parte della mia vita, anzi: ne abbiamo una insieme».
    «E cosa ti fa paura?»
    «Non… non lo so», risponde, «Forse di non… ricordare».
    «Shuuzou… buttati», dichiara il padre, «Ti stai solo facendo condizionare dall’amnesia. Il fatto che tu ti sia innamorato di nuovo di lui dimostra solamente che quei sentimenti erano già lì».
    Nijimura annuisce. C'è del vero nelle parole di suo padre: sta permettendo all'amnesia di giocare un ruolo chiave in tutto questo. Si sta concentrando troppo sulla sua mancanza di ricordi e non si sta rilassando.
    Il dottore, inoltre, ha anche precisato che spesso le amnesie sono causate dalla stanchezza mentale… quindi sta a lui evitare fonti di stress.
    «Grazie...», mormora sentendosi un po’ più rilassato.
    «Devo sempre tirare la vostra testa fuori dal vostro culo», commenta Tetsuji aprendosi una birra e strappando a Shuuzou una risata.

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    Anche se Nijimura ha deciso di parlare ad Haizaki dei suoi sentimenti, togliendosi in quel modo già un grosso peso dalle spalle, si è ritrovato a esitare quando l’altro uomo è tornato a casa.
    Non è un codardo, ma grazie a suo padre è stato in grado di capire alcune cose ed è addirittura arrivato a scherzare su argomenti che, fino a quel momento, ha evitato, come il suo risveglio. Di quel giorno, a dirla tutta, ricorda solo alcune cose anche a distanza di settimane, e per quanto alcuni ricordi siano ancora offuscati, con il passare delle ore, ne è sorto uno che l’ha lasciato quasi intontito. Per quel motivo, anche dopo che suo padre ha lasciato la casa, ha tenuto la bocca chiusa per cercare di capire quanto quel ricordo fosse reale… e anche se preferirebbe venirne a capo da solo, sa che Haizaki è l’unico che poteva aiutarlo.
    «C'era un bambino...», mormora infatti, attirando su di sé l'attenzione dell’altro. Sente il suo sguardo, ma evita di guardarlo almeno per il momento. Tra le cose che ricorda più o meno chiaramente di quel giorno c'è l'ingresso di suo padre e tutto quello che gli era successo in seguito, mentre i minuti precedenti sembrano quasi avvolti dalla nebbia, eccetto quel nuovo e piccolo particolare.
    «Quando mi sono svegliato», precisa, «Nella stanza c'era un bambino e… credo che poi sia arrivato il dottore e Kise?!», solo in quel momento si volta verso Haizaki alla ricerca di conferme. Gli sembra una cosa assurda, un qualcosa che forse si è solo immaginato, ma gli basta scorgere l'espressione dell'altro per dissipare quel dubbio.
    Haizaki ha le labbra strette in una piccola smorfia - che Nijimura interpreta come preoccupata - e le spalle tese, rigide.
    «Shuuzou...»
    «Non era una mia fantasia», conclude, ricevendo conferma tramite un cenno del capo, «Chi... era?», si azzarda a chiedere poi, sentendo subito l'istinto di rimangiarsi quelle due semplici parole quando Haizaki si alza dal divano come per prendere le distanze da lui.
    Non capisce il perché di quella reazione ma sa che si tratta di un qualcosa di importante che lui non ricorda e che, probabilmente, ferisce non poco l'altro.
    «Non posso parlarne», dichiara infatti Haizaki, e per quanto Shuuzou voglia evitare discussioni, gli viene spontaneo controbattere.
    «E se fosse qualcosa che mi permettesse di ricordare?», ribatte infatti.
    "Complimenti Shuuzou", borbotta tra sé e sé, "Non sai fare di meglio se non usare la carta della memoria?"
    L'espressione di Haizaki però diventa quasi fredda oltre che un po' spaventata, e in un lampo Nijimura rivede il ragazzino delle medie che era solito prendere a botte quando faceva qualche cazzata. Quello stesso ragazzino che, ai suoi occhi, sembrava odiare il mondo che lo aveva tradito.
    «E se non servisse?», sussurra in risposta.
    «Haizaki... è una cosa importante, vero?», riprende con calma Nijimura.
    «Cazzo sì», esclama l’altro, facendo sussultare Shuuzou.
    «Se mi riguarda... ho tutto il diritto di saperlo», insiste dopo qualche momento, guardandolo negli occhi.
    Continua a sentirsi diviso tra la necessità di sapere e quella di lasciar perdere quel discorso per… proteggere Haizaki? Gli viene spontaneo pensarlo nel vederlo così a disagio e, ormai, non gli sembra neanche così assurdo. Dall’altra parte però è davvero convinto che quel qualcosa possa aiutarlo.
    «Lo so...», annuisce questo, passandosi una mano tra i capelli sciolti, liberi dall’elastico. Nijimura segue i suoi movimenti, attendendo una risposta - sia negativa che positiva.
    «Keiichi...», mormora alla fine Haizaki guardandolo negli occhi, e la speranza che Shuuzou scorge gli fa quasi stringere la bocca dello stomaco.
    «Keiichi», ripete, sforzandosi di ricordare qualsiasi cosa legata al quel nome. Cercando di non deludere Haizaki... ma non succede niente, e scuotendo il capo è costretto a guardare l'altro come per chiedergli perdono.
    «Se non ricordi neanche il nome di nostro figlio, mi chiedo se ricorderai mai...», dichiara in risposta Haizaki, permettendo alla sua voce di assumere un tono leggermente più acuto. Nijimura viene investito dalla delusione dell’altro, mista al dolore e alla rassegnazione, tuttavia non avverte nessuna traccia di biasimo in quel piccolo sfogo... Shuuzou però accantona quasi subito quelle sensazioni per pensare invece alle parole di Haizaki.
    "Figlio", ripete, "Ha detto 'nostro figlio'..."
    Vorrebbe scuotere la testa e dirsi che non è possibile, ma sente la bocca impastata ed il cuore in gola a soffocarlo. Boccheggia e neanche riesce a fermare Haizaki quando questo attraversa il salotto per infilarsi in cucina, lasciandolo solo.
    "Figlio... non mi ricordo di mio figlio..."
    Prende dei respiri profondi, tentando di calmare in quel modo quello che gli sembra il principio di un attacco di panico.
    Solo in quel momento Shuuzou inizia a rendersi conto di tutte le piccole cose che, in quelle settimane passate lì a casa, ha ingenuamente ignorato. Foto che sembravano mancare dai mobili, la stanza accanto alla sua che Haizaki aveva definito ‘la camera dei segreti’ e che lui aveva interpretato come ‘ripostiglio’, e anche i cereali di Pokémon che aveva pensato fossero di Haizaki... e maledizione: anche le prese della corrente erano anti-bambino e lui le stava notando solo in quel momento.
    “Sono un fottuto idiota”, si rimprovera sentendo aumentare l’oppressione al petto. Nasconde il viso tra le mani, ansimando alla ricerca d’aria, esclamando poi un: «H-Haizaki!», con voce rotta e soffocata. Con il cuore che sembra quasi voler scoppiare, e che non trova pace neanche quando Haizaki fa di nuovo il suo ingresso nel salotto.
    Restano entrambi in silenzio per qualche minuto, e Shuuzou fa uno sforzo immane per riuscire a placare la nausea e parlare senza tremare.
    «Perché… non me lo hai detto?», gli chiede, ma la sua voce suona ugualmente insicura e ferita.
    Haizaki, fermo sull’ingresso del salotto, evita di guardarlo mentre risponde.
    «Perché sono un egoista del cazzo», dichiara, «Posso dire facilmente "volevo proteggere Keiichi" o "volevo evitare che tu ti sentissi in colpa", ma per quanto siano entrambe vere... l'ho fatto per proteggere me stesso. Non volevo... non volevo pensare al fatto che tu non ti ricordassi di lui. Keiichi è... troppo importante e non posso accettarlo».
    Lo comprende. Shuuzou non deve neanche faticare per capire le sue intenzioni, forse avrebbe fatto lo stesso.
    Si prende qualche altro minuto per assimilare la notizia, ma solo il pensare di non ricordare suo figlio, di non sapere niente di lui, gli fa sentire ancora quella stessa sensazione di panico e rimprovero. Che razza di padre è?
    Vorrebbe chiedergli scusa, ma… con quale risultato?
    «Haizaki...», mormora.
    «Non ti voglio incolpare...», risponde l’altro, avvicinandosi lentamente, «So benissimo che se fosse stato già possibile, tu avresti ricordato prima lui di me».
    «… voglio ricordare entrambi...»
    «Lo so…»
    Haizaki si butta di peso sul divano, coprendosi il viso con le mani e rendendo un lungo respiro. Shuuzou cerca di imitarlo ma non riesce ancora a placare il tremore che gli scuote il corpo.
    «Quanti… anni ha?», gli chiede dopo qualche momento. Non è certo sia corretto rivolgergli una domanda simile, ma dall'altra parte sente il bisogno di sapere più cose possibili riguardanti Keiichi, nella speranza che un qualche dettaglio gli suoni familiare.
    «Quasi cinque...», risponde stanco Haizaki senza abbassare le braccia.
    «E… dove si trova ora?»
    «Da Ryouta e Daiki».
    «Per questo andavi sempre da loro…», realizza. Era così ovvio… non andava da Kise e Aomine per divertirsi o per sfogarsi, ma per stare con loro figlio. Si insulta mentalmente, ma neanche quello riesce a scacciare il senso di colpa e la vergogna che sente gravare sulle sue spalle.
    Continua a prendere dei respiri, mettendo a tacere altre domande che, forse, avrebbero potuto ferire ulteriormente Haizaki. Ciò che però non riesce a fare è impedirsi di pronunciare un: «Portami da lui», arrivando addirittura a stupirsi per il tono sicuro che riesce a imprimere nella sua voce.
    “Voglio davvero andare da lui?”, si chiede, mettendo in dubbio la sua stessa decisione. Per quanto non abbia memorie riguardanti Keiichi sa di volerlo vedere. Sente di averne il bisogno.
    «Cosa? No!», si rifiuta prontamente Haizaki, ma Nijimura non si fa indietro.
    «È anche mio figlio, ho il diritto di vederlo!», esclama senza ritirare la sua decisione, aggiungendo poi un po’ più pacato: «E questa è casa sua... deve stare con i suoi genitori».
    Più ne parla più sente il desiderio di vederlo. Vuole ricordare e riprendere possesso della sua vita, non solo per lui o per Haizaki, ma anche per quel bambino che sta sicuramente vivendo una situazione terribile.
    «Lo so», ammette l’altro. Sembra ancor più stanco, come se fosse stato privato di ogni energia, ma quando riapre la bocca qualche momento dopo, Nijimura è certo di sentire una forza ed una decisione del tutto nuova.
    «Ma se vedo che Keiichi sta male a causa tua… lo porto via su due piedi», dichiara serio. Ancora una volta Shuuzou non avverte biasimo nelle parole di Haizaki, non lo sta incolpando per quella situazione… lo ha semplicemente avvertito che è pronto a mettere davanti ad ogni cosa la felicità del figlio, e Nijimura sa che se si fosse trovato al posto di Haizaki, avrebbe fatto la stessa identica cosa.

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    Sarebbe stato logico attendere il giorno successivo per andare a ‘trovare’ Kise e Aomine, ma Shuuzou era stato irremovibile: non voleva lasciar passare altre ventiquattr'ore per vedere Keiichi.
    Haizaki era quindi stato costretto ad avvertire Kise, precisando durante la chiamata che: «Sì, io e Shuuzou veniamo a casa e no, non ha ricordato ancora niente ma… vuole vedere Keiichi». Il nervosismo e la tensione di Haizaki erano palesi, e lo stesso Nijimura si era più volte sentito sull’orlo di una nuova crisi di panico… ma, al tempo stesso, voleva anche sentirsi fiducioso. Forse era l’assenza di quell’importante tassello ad impedirgli di ricordare, per quel che ne sapeva poteva addirittura avere ragione… e, ovviamente, anche torto.
    “Non essere negativo… non giova a nessuno”, si dice prendendo un bel respiro, continuando a tenere gli occhi fissi sulla strada che scorre veloce attraverso i finestrini. Sente ancora le gambe tremare, quasi sicuramente per lo sforzo di poco prima mentre cercava di muoversi più velocemente possibile nel breve tragitto dalla casa fino alla macchina. Ovviamente sa che non si tratta solo di quello, infatti non si sorprende nel sentirle diventare di gelatina quando Haizaki ferma la vettura annunciando l’arrivo a casa dei loro ex compagni di squadra.
    Esita prima di aprire lo sportello. Si chiede se sta facendo la cosa giusta, se si ricorderà tutto o se finirà per ferire quelle che sono le persone più importanti della vita che non ricorda.
    Trema visibilmente per quel pensiero, sussultando poi quando Haizaki mette una mano sulla sua.
    «Shuuzou», esordisce stringendo la presa, e a Nijimura sembra quasi di non aver bisogno d’altro per riuscire a calmarsi. Annuisce infatti, un po’ per se stesso ed un po’ per rassicurare Haizaki che, lasciandogli la mano, scende dalla macchina per poterlo poi aiutare a fare la stessa cosa.
    Tiene i pugni ben stretti sulle stampelle per mantenere l’equilibrio, costringendosi poi ad avanzare verso la porta e riprendendo suo malgrado a tremare passo dopo passo. Sente pure lo stomaco contrarsi per la tensione e l’emozione, ed anche se una piccola parte di sé vorrebbe ancora tirarsi indietro, Shuuzou continua a puntare i piedi testardo.
    “Sto facendo la cosa giusta!”, si ripete mentalmente.
    È Haizaki a suonare il campanello e dopo avergli rivolto per un momento un’occhiata che Shuuzou non riesce a decifrare, riporta le sue attenzioni sulla porta che viene aperta. È un uomo alto e con la carnagione scura ad accoglierli e Nijimura non ha bisogno di presentazioni o di ulteriori conferme per sapere che si tratta di Aomine.
    «Sei ridotto uno schifo, Nijimura», lo saluta questo con un sorrisetto, ma ancor prima di poter rispondere per le rime - o di poter anche solo varcare la soglia di casa -, alle orecchie di Shuuzou arriva uno squillante: «Papà!», seguito da un bambino che, superando di corsa Aomine, si tuffa tra le braccia di Haizaki.
    Nijimura assiste alla scena senza riuscire a reagire, ma il sorriso che vede sulle labbra di Haizaki mentre afferra al volo il bambino, abbracciandolo, è stupendo… e Shuuzou si sente quasi di troppo nel vedere quella scena.
    Perché è tutto sbagliato. E vorrebbe vomitare, prendere a pugni e a calci qualsiasi cosa gli capiti a tiro... ma non riesce a muoversi e le lacrime iniziano a scendere da sole dai suoi occhi.
    "Perché non riesco a ricordare?"
    Si aspettava di venire investito da un fiume in piena di ricordi e non dalla delusione mista alla rabbia e al dolore.
    «Papà?»
    Sussulta, rivolgendo di nuovo tutte le sue attenzioni ad Haizaki e al bambino, che lo sta guardando preoccupato e speranzoso.
    «Perdonami Keiichi...», mormora, asciugandosi velocemente gli occhi con la manica della felpa, «Non…», gli mancano le parole ed il fiato.
    «Tranquillo papà!», gli sorride però Keiichi, innocente e pieno di fiducia, «Starai sicuramente meglio! Ti aiuto io ora!»
    È così sicuro che anche Shuuzou, nonostante tutto, riesce a sorridere.
    «Sì», annuisce, «Riuscirò a stare meglio».
    Le sue parole sono incerte, così come il suo stato d'animo. Sente ancora fortissima la necessità di urlare e di sfogarsi ma, dall'altra parte, avverte anche una piccola fiammella di decisione ardere testarda. Sa di non dover ‘guarire’ solo per sé, deve farlo soprattutto per Keiichi e Haizaki, ed intende alimentare quella fiamma e non farla spegnere dalla disperazione.
    «Daikicchi! Falli entrare, non essere maleducato!», la voce di Kise lo riporta subito alla realtà, ed alzando lo sguardo Shuuzou vede l’altro uomo in fondo al corridoio.
    «Cosa ti aspetti da un idiota, Ryouta?», ribatte Haizaki, continuando a tenere Keiichi in braccio.
    «Ringrazia che c'è tuo figlio, Haizaki… altrimenti...», lo minaccia Aomine in risposta, facendosi di lato per far entrare anche Nijimura.
    «Altrimenti cosa?»
    Iniziano a battibeccare con un tono scherzoso e Shuuzou, ancora scosso, non riesce a godersi le loro battute in un certo qual modo amichevoli. Avanza lentamente lungo corridoio con Haizaki che gli resta accanto per aiutarlo e, nel caso, anche sorreggerlo… ma non è la prospettiva di una probabile caduta a far sentire Nijimura sempre più teso, ma lo sguardo curioso del bambino. Lo sente sulla sua pelle e vorrebbe a sua volta guardarlo ma non sa cosa dirgli o come comportarsi, e non vuole deludere Keiichi.
    «Benvenuto!», lo accoglie Kise con un ampio sorriso, «Ti vedo meglio dall’ultima volta!», aggiunge, invitandolo con un gesto ad accomodarsi sul divano.
    «Uhm… grazie… beh, ti vedo più maturo dalla mia ultima volta», mormora incerto, accettando la sua gentilezza senza pensarci due volte. Si siede sul divano, sospirando per il sollievo per i muscoli messi finalmente a riposo.
    «Ti ha detto ‘maturo’!», esclama Aomine con un tono divertito, mentre accanto a Shuuzou prendono posto Haizaki e Keiichi.
    «Perché sono maturo!»
    «È un modo per dirti ‘invecchiato’!», ribatte ancora Aomine, ma Nijimura non riesce più ad ascoltarli. Il suo sguardo viene ovviamente attratto da Haizaki e Keiichi, e non appena si azzarda a rivolgere loro un’occhiata, non può far altro se non incrociare le grandi iridi dorate del bambino.
    «Posso offrirvi qualcosa da bere?», riprende Kise con un tono vagamente offeso che alle orecchie di Shuuzou, tuttavia, suona distante. A dirla tutta, neanche provandoci sarebbe riuscito a rispondere. Socchiude solo la bocca per poi richiuderla lentamente e piegare le labbra in un sorriso, solo per Keiichi. Gli viene spontaneo cercare rassicurarlo in quel modo, se per lui quella situazione è dolorosa lo deve essere sicuramente anche per un bambino.
    Non deve aspettare tanto per ricevere una risposta da parte di Keiichi, ed il sorriso che il bambino gli regala lo fa sentire strano… ma non in modo negativo.
    «Vuoi andare dal papà?», domanda Haizaki, notando subito quel breve scambio di sorrisi e sguardi.
    «Sì...», ammette Keiichi dopo aver esitato per un momento, e Nijimura sente subito la necessità di allungare le braccia e stringerlo a sé.
    «Allora cosa aspetti?», ribatte Haizaki con un sorriso e Keiichi, venendo quasi liberato da chissà quale peso, si butta sul petto di Shuuzou, che non può fare altro se non abbracciarlo e concedersi un sospiro sollevato.
    I suoi pensieri e le sensazioni si accavallano l’uno sull’altro impedendogli di trovare una definizione a quel che prova, ma si rende conto di non aver alcun interesse nel capire i suoi sentimenti. Quel che sente è piacevole, caldo e rassicurante e non vuole sapere altro.
    Si concede infatti un secondo sospiro che lo aiuta a rilassare tutti i suoi muscoli, sorridendo divertito quando il bambino inizia a rivolgergli un fiume di domande, spesso scollegate tra loro. Permettendosi ovviamente di ridacchiare quando sente un: «È vero che hai anche dimenticato come camminare?!»
    «Cosa? No!», risponde.
    «Il papà ha detto che lo hai dimenticato e che lui ti stava insegnando a camminare come fa con le altre persone», spiega Keiichi.
    «Beh… sì, mi sta aiutando», risponde allora, lanciando uno sguardo ad Haizaki che solleva le labbra in un sorrisetto divertito.
    «È così romantico~», dichiara Kise, «Ogni volta che Shoucchi viene qui non fa altro se non dire quanto stai migliorando e quanto sei fantastico~», aggiunge.
    «N-non è vero! Racconto solamente a Keiichi quello che fa Shuuzou!», si difende imbarazzato Haizaki.
    «Non è bello dire bugie davanti a tuo figlio», lo riprende con un ghigno Aomine.
    «Sei così adorabile quando fai il timido, Shoucchi~», cantilena Kise, abbracciando Haizaki senza dargli alcun preavviso.
    «Oh-Ohi! Levati dalle scatole! Sei appiccicoso!», si lamenta rumorosamente l'altro, premendo il palmo della mano sul viso di Kise per tenerlo lontano.
    «Ma voglio solo coccolarti Shoucchi!», esclama in risposta Kise.
    «Non ho bisogno di coccole!»
    Nijimura quasi fatica a credere a quella scena. Già sapeva che, per Haizaki, Kise era il suo migliore amico ma vederli dal vivo era totalmente diverso.
    Non sa come interpretare l’atteggiamento dei due, ma ha quasi la certezza che si tratti di un modo per… sfogarsi, forse. Anche se Haizaki si presenta lì per Keiichi, Nijimura può facilmente supporre che siano stati quei due a sostenerlo nei momenti peggiori. Quindi, forse con quell’assurda dimostrazione d’affetto, Kise sta semplicemente sfogando la sua stessa tensione, dando modo anche ad Haizaki di fare lo stesso.
    «Papà?»
    Distoglie lo sguardo dai due uomini per rivolgersi di nuovo a Keiichi. È strano sentirsi chiamare in quel modo, ma - cosa che gli fa riempire il petto di speranza - gli sembra altrettanto semplice accettarlo.
    «Dimmi».
    «Posso… tornare a casa?», gli chiede, stringendo i pugni sulla felpa di Shuuzou.
    «Certamente!», risponde senza esitare, «Ora torniamo a casa tutti insieme», aggiunge.
    Non vuole stare lontano da suo figlio un minuto di più, e non vuole neanche che Haizaki sia ancora costretto a nascondergli qualcosa di così importante.
    Keiichi si illumina subito per le sue parole, ridacchiando quando la mano di Haizaki si appoggia sulla sua testa per scompigliargli i capelli.

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    Sono tornati a casa dopo aver cenato a casa di Aomine e Kise, e per quanto quella serata sia stata sorprendentemente piacevole, Shuuzou sa benissimo di non potersi rilassare per davvero. Non è stato difficile per Nijimura affezionarsi a Keiichi in quel breve lasso di tempo, è educato e intelligente, un bambino adorabile che Shuuzou sente di amare incondizionatamente.
    Vorrebbe infatti sentirsi felice all’idea che la sua famiglia sia finalmente riunita sotto lo stesso tetto, ma quando esce dal bagno, infilandosi con attenzione nel corridoio che ospita la sua camera e quella di Keiichi, non può non sentire un ormai familiare peso su tutto il suo corpo.
    «Il papà… ci vuole ancora bene?»
    La voce del bambino è bassa, ma alle orecchie di Nijimura suona nitida anche grazie al silenzio del corridoio. Infatti sente fin troppo chiaramente un singhiozzo provenire dalla stanza e la nausea stritolargli lo stomaco.
    «E... e se... decidesse di non volerci più bene ora che n-non ricorda?»
    Per quanto Keiichi si fosse mostrato esaltato e felice fino a qualche ora prima, Nijimura sa che è normale per un bambino avere quei dubbi vista la situazione.
    «Il papà ci vuole bene e ti ama più di qualsiasi altra cosa al mondo», lo rassicura Haizaki, «Ti fidi di me, giusto?»
    «Sì...»
    «Allora credimi: anche se ha problemi nel ricordare alcune cose, i suoi sentimenti non sono cambiati»
    «Ma... le ricorderà... vero?», pigola il bambino tirando su col naso, e Nijimura, senza fiato, si appoggia alla parete.
    «Certo che si ricorderà... il papà è solo un po' tardo».
    Tra il leggeri singhiozzi del bambino, Shuuzou sente anche una piccola risata.
    «Si arrabbierà tantissimo per questo!»
    «Già...», risponde Haizaki, «Ma sarà il nostro piccolo segreto, okay?»
    «Okay… ti voglio bene, papà», mormora il bambino.
    «Ti voglio bene anche io, Keiichi», dichiara l'altro, e Nijimura cerca con le maniche della felpa di asciugarsi le lacrime che hanno iniziato a scorrergli lungo le guance.
    Non sa quanto tempo passa prima di sentire di nuovo la voce di Haizaki.
    «Vado a vedere che fine ha fatto il papà, magari non si ricorda come uscire dal bagno e devo insegnargli pure questo», dichiara riuscendo a strappare una risata al bambino, e Shuuzou non fa niente per nascondersi quando vede l’uomo lasciare la camera.
    I loro sguardi si incontrano subito, e Nijimura non ha bisogno di aprire bocca per sapere che Haizaki, in quel momento, sa che lui ha sentito tutto.
    «Non importa quanto ci metterai a ricordare», dichiara questo serio, avanzando verso di lui, «Io continuerò ad aspettare che… che tu torni a casa».
    Nijimura annuisce piano, e per quanto gli sembri facile lasciarsi trasportare dallo sconforto, sa anche che è altrettanto semplice ricordarsi quanto sia profondamente legato a Keiichi ed Haizaki. Li ama e desidera più di ogni altra cosa stare con loro, e non sarà la sua testa a impedirglielo.
    «Lo so», dichiara, riprendendo a muoversi verso la camera del bambino senza poter aggiungere altro, lasciandosi alle spalle Haizaki, sicuramente bisognoso di un momento di calma per rimettersi in sesto.

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    Sono quasi le dieci quando Keiichi inizia a sbadigliare, biascicando qualcosa su un peluche gigantesco "preso quella volta al Luna Park".
    La testolina scura ciondola un po’ mentre le sue parole si fanno sempre più basse, e dopo neanche qualche minuto i suoi occhi si chiudono del tutto mentre si appoggia al braccio di Nijimura.
    Da quando Shuuzou è entrato nella sua cameretta, con l’intenzione di passare un po’ di tempo con lui, il bambino ha fatto di tutto pur di intrattenerlo e aiutarlo a ricordare raccontandogli storie e mostrandogli alcuni album di fotografie che Haizaki aveva tenuto nascosti fino a quel momento.
    È stato strano per Nijimura osservare se stesso in quelle foto, ma grazie a Keiichi è riuscito a godersi anche quei momenti, ridendo più e più volte con suo figlio - è davvero piacevole poter utilizzare quelle due semplici parole per definire quel bambino.
    Gli viene spontaneo restare per qualche minuto in contemplazione del suo viso rilassato, ma prima di potersi perdere nei suoi pensieri preferisce farlo distendere in una posizione più comoda. Infatti, spostandosi un poco, accompagna il capo del bambino sul cuscino e togliendogli delicatamente l’album dalle mani, lo chiude appoggiandolo sul comodino. Cerca di muoversi sempre con la massima attenzione per non svegliarlo, e quando riesce a coprirlo, si impone solo un ultimo, silenzioso sforzo per trascinarsi a fatica fuori dalla stanza con le stampelle.
    Il corridoio è buio, ma la luce della cucina riesce a guidarlo nel suo cammino. Sa di trovarci Haizaki che, per tutto quel tempo, gli ha permesso di rimanere solo con Keiichi.
    Shuuzou sa di dover parlare con lui, sa di dovergli dire tante di quelle cose che quasi teme di dimenticarsi qualcosa, ma quando arriva sulla porta - e Haizaki si volta istintivamente verso di lui - sente di non averne la forza. Almeno non in quel momento, dopo quella giornata fin troppo intensa.
    «Si è addormentato», riesce a mormorare, avanzando ancora fino a potersi sedere sulla prima sedia libera, concedendosi un sospiro per il sollievo.
    «Stai bene?»
    Non sa se quella domanda sia riferita al suo fisico o a tutta quella giornata, ma Shuuzou decide di poter dare per entrambe la stessa risposta.
    «Sono un po’... stravolto. Ma sto bene», ammette, guardandolo poi più serio, «Tu?»
    Si rende conto, con la sua domanda, di essere stato ancora una volta egoista in quelle settimane.
    Quante volte si era soffermato a chiedere ad Haizaki come si sentiva? Ben poche, si risponde. Era stato così preso dalla sua situazione da non essersi reso conto di niente… neanche del tono fintamente divertito dell’altro quando gli risponde con un: «Di certo meglio di te».
    “Sono stato ancora una volta un idiota”, si insulta.
    «Stravolto credo sia la parola più giusta anche per me», risponde Haizaki, «Ma è… bello riavere tutti sotto questo stesso tetto», prosegue sincero.
    «Mi… dispiace», riesce a mormorare Shuuzou, bloccando poi l’altro dal parlare sollevando il palmo della mano. Non si sente in grado parlare di certe cose, come i suoi sentimenti, ma non può tirarsi indietro dal chiedere scusa ad Haizaki.
    «So che vuoi dirmi che non è colpa mia se non ricordo», riprende, «Ma mi sono comportato in modo pessimo con te e… non voglio che si ripeta. Tu hai agito per il bene di Keiichi, e sono certo che avrei fatto la stessa cosa. Quindi neanche tu devi sentirti dispiaciuto per questo…»
    «Lo so», annuisce Haizaki sedendosi accanto a lui, «Ma non è stato facile...», ammette.
    «Puoi parlarmi di tutto… non voglio che ci siano altri segreti», lo incoraggia, permettendo poi all’altro di prendersi qualche momento di silenzio prima di riprendere a parlare.
    «Non sai quante volte avrei voluto portare Keiichi qui. Ogni giorno mi chiedeva ovviamente di te. Voleva sapere come stavi, come passavi le giornate e se stavi imparando di nuovo a camminare», si concede una breve risata prima di proseguire, «E quando mi chiedeva quando ti saresti ricordato, tutto quello che potevo dirgli era che stavi facendo del tuo meglio e che presto avresti ricordato, anche se in realtà avevo paura di avergli detto una bugia. Non voglio spaventarti o demoralizzarti, ma più volte ho pensato: “E se Shuuzou non ricordasse?”, cosa avrei dovuto fare con Keiichi? E con te?»
    «Haizaki...»
    «Ho provato ad essere positivo, soprattutto per te… ma stava diventando pesante...»
    «Non… non ho bisogno di ricordare per sapere che sono legato a voi», riesce ad ammettere, allungando la mano per afferrare quella di Haizaki, «Keiichi è fantastico e… tu non sei male», aggiunge con un sorriso, cercando di coinvolgere anche l’altro.
    «Non sono male?», ripete Haizaki con un tono un po’ più leggero, «Mi hai appena fatto un complimento?»
    «Sì», risponde Shuuzou senza aver bisogno di nascondersi, «Siete la… mia famiglia e anche se non ricordo, voglio stare qui con voi. Non me ne andrò. Possiamo… sempre creare nuovi ricordi in attesa. Perché, ovviamente, ricorderò tutto».
    Non sa neanche come sia stato in grado di pronunciare quelle parole ma si sente quasi più leggero dopo averlo fatto.
    «Mi piace quest’idea», annuisce Haizaki, mostrandosi a sua volta più sollevato.
    È la prima volta, da quando si è svegliato dal coma, che Nijimura si sente per davvero vicino ad Haizaki. C'erano stati dei momenti simili, nel quale si era sentito complice e amico, ma solo in quell’istante è certo di non avere più freni… infatti, quando l’altro lo accompagna fino alla camera da letto, aiutandolo poi a distendersi, gli viene spontaneo fermarlo con un: «Haizaki».
    «Vuoi il bacio della buonanotte?»
    «… ritiro quello che stavo per dire», ribatte senza sentirsi davvero offeso. In realtà sente le labbra pericolosamente tese verso l’alto.
    «Okay okay!», concede Haizaki ridacchiando, «Dimmi tutto».
    «... se ti va... puoi dormire nel letto», borbotta tenendo lo sguardo basso. Quasi si aspetta una battutaccia ma l'altro lo sorprende ancora una volta.
    «Non sentirti costretto».
    «Non... non lo sono!», esclama subito, «È... casa nostra e... non è giusto che tu dorma ancora sul divano».
    «Però, se ti senti a disagio… dimmelo, okay?», precisa Haizaki.
    «D’accordo», annuisce Shuuzou, regalandogli poi un sorriso malizioso, «Anche se devo dire che mi aspettavo di dover combattere per convincerti».
    «Tralasciando il fatto che il letto è molto più comodo del divano… non devi di certo sforzarti per convincermi a dormire con te», ribatte Haizaki con un tono più leggero e divertito, infilandosi rapido sotto le coperte, accanto a Shuuzou.
    «L’importante è che tu tenga le mani al loro posto», lo riprende Nijimura.
    «Promesso, aspetterò che sia tu a ‘combattere’ e ‘pregarmi’ di essere toccato da me~»
    «Sognatelo: io non prego nessuno».
    «Povero, innocente, Shuuzou~»
    Nijimura sente le guance ardere, ma non avverte per davvero rabbia o imbarazzo. Si sente pronto a ribattere a tono alle insinuazioni di Haizaki, ed è anche sul punto di aprire bocca e, magari, minacciare l’altro quando viene bloccato da un: «Papà?»
    Gli occhi di entrambi si spostano sulla porta, dove scorgono Keiichi.
    «Posso dormire qui?», chiede incerto il bambino, ricevendo in risposta un: «Certo!», esclamato da entrambi.
    Keiichi si illumina subito e, ridendo, corre verso di loro, arrampicandosi sul letto per prendere posto tra i due. Shuuzou non può non sorridere, sentendo il cuore fare una capriola quando il bambino stampa sulla sua guancia e su quella di Haizaki un bacio per augurare loro la buonanotte.
    E Nijimura non ha dubbi: sa che finalmente quella sarà una ‘buona notte’.

    ----

    Le foto del ricevimento del loro matrimonio sono le prime che Nijimura ha il coraggio di guardare dopo il rientro di Keiichi a casa. Stupidamente, aveva sempre avuto un po’ di timore, ma in quel momento non può non sentirsi divertito nell’osservare quell’album e le foto raccolte in esso.
    Riconosce tutti, ovviamente, è trova addirittura esilarante cercare di individuare Kuroko in alcuni scatti.
    «Sarebbe un perfetto photobomber di professione», commenta, osservando una foto con la madre ed il fratello di Haizaki.
    «Vero?», ride l’altro, «Ed invece lavora come insegnante d’asilo».
    «Adorabile~», concede Shuuzou, soffermandosi suo malgrado su una foto che lo ritrae con due persone che riesce a riconoscere solo dopo qualche momento.
    «Tatsuya è sempre stato bello come un modello», dichiara infatti con una risata, «Piuttosto… dove hai nascosto la foto dove Alex e Kise ti baciano?», aggiunge con un sorrisetto malizioso.
    «… Shuuzou?»
    «Non vorrai fare una scenata di gelosia ora?», ride ancora.
    «Ti... ricordi di Tatsuya e di Alex!», gli fa presente Haizaki, con un leggero tremolio nella voce.
    «Certo! Sono nostri ami...», esordisce come se fosse la cosa più naturale del mondo, ma le parole gli muoiono in bocca nel rendersi conto di quanto ha appena detto.
    Alex e Tatsuya. Li ha conosciuti in America e, prima di quel momento non aveva mai osato guardare quelle foto, né avevano parlato di loro.
    «Mi… sono ricordato...», mormora, guardando prima la foto e poi il viso di Haizaki, nel quale legge il suo stesso sollievo e la speranza, «Mi sono ricordato!», esclama.
    «E ti sei ricordato prima di loro che di tuo marito», commenta l’altro senza mostrare il minimo accenno di astio, ma solo ironia e gioia.
    «Oh andiamo! Ho solo faticato a riconoscerti ma mi ricordavo di te!», dichiara Nijimura ridendo per il sollievo e l’emozione, «Sei solo geloso!»
    «Cazzo sì!»
    «Papà la parola con la ‘c’!», interviene Keiichi entrando nel salotto dopo essere stato attratto dalle loro risate.
    «Scusa scusa!», esclama Haizaki, prendendolo subito in braccio, «Ma il papà è così felice che non può trattenersi», dichiara, dando voce anche ai sentimenti di Shuuzou.
    «Perché sei felice?», chiede il bambino sorridendo a sua volta, contagiato dall’ilarità dell’uomo.
    «Perché il papà Shuuzou è un tardone!»
    «Ehi!», esclama tra le risate Nijimura.
    «Non capisco...», mormora Keiichi gonfiando le guance, che vengono subito baciate da Haizaki.
    «Sto ‘guarendo’, Keiichi», gli spiega Shuuzou senza smettere di sorridere.
    «Davvero?»
    «Davvero», gli conferma, e per la prima volta, Nijimura, inizia a vedere la luce alla fine di quel tunnel.

    ----

    «Credo di essermi innamorato di nuovo di te», è con quelle parole che Shuuzou decide di confessare, dopo giorni, i suoi sentimenti.
    Si trova disteso sul letto insieme ad Haizaki e… gli è semplicemente sembrato il momento adatto.
    Non ha ancora recuperato del tutto la memoria, ma dopo aver ricordato Tatsuya e Alex, alcuni degli eventi della sua vita sono tornati a galla, come se fossero ormai liberi dalla loro prigione.
    Si è ricordato alcune delle sue avventure in America, del suo rientro in Giappone e anche dell'incontro con Haizaki. Del matrimonio di Kise e Aomine. Del secondo compleanno di Keiichi e della ragazza che aveva permesso loro di avere un figlio. E anche del primo campionato vinto con la sua squadra alla Teikou.
    Sta succedendo tutto così rapidamente che il lento scorrere del tempo di quegli ultimi mesi gli sembra quasi uno scherzo. Ormai tutti i pezzi di quel puzzle stanno andando al loro posto, e lui si sente sempre più leggero e fiducioso. Per quel motivo ha deciso di parlare, anche se sa già da tempo di amarlo.
    «...»
    Non riceve una risposta da parte di Haizaki, e solo dopo essersi voltato per cercarne il viso si ritrova a sorridere compiaciuto davanti all’espressione sorpresa ed imbarazzata dell'altro.
    «Qui qualcuno è imbarazzato~», lo stuzzica prontamente.
    «Vaffanculo Shuuzou! Non puoi dire queste cose e aspettarti che poi io non sia sorpreso!», esclama Haizaki, con un broncio.
    «Non ti piace non avere più il potere di farmi imbarazzare. Ora sono io quello con il potere», ribatte Nijimura compiaciuto, punzecchiandogli il fianco con l’indice. Gli sembrano lontani quei giorni in cui le battute di Haizaki erano in grado di farlo sentire a rischio.
    «Stronzate», ribatte l’altro, «Non hai nessun potere!»
    «Tsundere», conclude Shuuzou, rendendosi conto solo dopo averlo pronunciato di aver spesso utilizzato quella parola per stuzzicare Haizaki. Legge infatti un pizzico di stupore negli occhi dell’altro.
    «Non sai quanto vorrei baciarti...», mormora dopo un momento di silenzio, e Nijimura si ritrova a deglutire a vuoto.
    «… vorrei che lo facessi», risponde piano senza pensarci troppo. Si guardano negli occhi, e Shuuzou rimane immobile quando Haizaki si avvicina a lui, posando le labbra sulle sue lentamente, dandogli il tempo di allontanarsi. Ma Nijimura non vuole scappare, sente di desiderare quel contatto tanto quanto Haizaki, e con un brivido si lascia trasportare dall’esperienza di quest’ultimo.
    Si baciano delicatamente, senza alcuna pretesa, mentre i loro corpi si stringono l’uno all’altro in un abbraccio.
    È una sensazione strana e nuova per Shuuzou, tant’è che si permette di mugolare quando sente la lingua di Haizaki carezzargli le labbra e quasi trema quando, qualche momento dopo, le loro lingue si incontrano.
    Sente una fitta nel basso ventre e l'eccitazione ribollirgli dentro anche solo per quel bacio, e scosso da quelle sensazioni si allontana quasi per istinto, cercando di riprendere aria e il controllo del suo corpo.
    «Shuuzou?»
    «Sto bene...», mormora, «Ma per quel che ricordo… questo è il primo… bacio...», svela abbassando la voce per l’imbarazzo e ricevendo un altro bacio che gli mozza il fiato.
    Quasi si dimentica di respirare mentre si aggrappa con forza alle spalle di Haizaki cercando di stare dietro alla sua passione, annaspando poi alla ricerca d'aria quando l'altro mette fine al bacio.
    «Fidati: hai fatto molto altro~», lo stuzzica Haizaki, emettendo un gemito di dolore al morso che Nijimura gli rifila sul mento.
    «Idiota», sibila con il fiato corto, senza però essere per davvero arrabbiato.
    «… indovina chi ha di nuovo il potere?», cantilena Haizaki ridacchiando piano.
    «Mi sono innamorato di un cretino», sorride a sua volta Shuuzou.
    «Ti amo anche io~»

    ----

    Quando Nijimura apre gli occhi gli sembra quasi di aver dormito per settimane - “Mesi”, si corregge istintivamente. Si sente ‘un'altra persona’, ma visti i suoi recenti trascorsi quella sensazione non gli sembra neanche tanto irreale. Gli viene infatti da sorridere, soprattutto quando si rende conto di non avvertire più il peso che gli ha oppresso petto per tutto il tempo.
    Si solleva sui gomiti e guardandosi attorno con necessità scopre suo malgrado di essere solo. Haizaki non è lì, e neanche Keiichi - ha dormito con loro anche la notte prima -, ma nel silenzio della camera è certo di sentire le loro voci provenire dalla cucina.
    Sorride ancora e gli viene quasi spontaneo cercare di alzarsi il più velocemente possibile - sempre con le sue ormai fidate stampelle al seguito.
    Non si permette di fermarsi a pensare, perché sente di non voler aspettare… ha già perso troppo tempo.
    I muscoli tirano per lo sforzo, ma ignora quel fastidio. Riesce a lasciare la camera, ma passo dopo passo inizia a rendersi conto di non riuscire più a vedere bene a causa delle lacrime che, spontanee, iniziano a bagnargli le guance. Cerca di asciugarle con il polso, fermandosi nel bel mezzo del corridoio ed imprecando poi per la sua totale incapacità di muoversi.
    Subito alle sue orecchie giungono le voci di Keiichi e Haizaki.
    «Il papà ha detto la parola con la ‘c’!», ride il bambino.
    «Shuuzou?», la voce di Haizaki è più vicina, e alzando lo sguardo gli sembra quasi di vederne la sagoma vicino alla porta, cosa che gli strappa un singhiozzo un po' più acuto.
    «Che succede? Stai male?», lo interroga subito preoccupato l’altro, affiancandolo per sorreggerlo.
    Tra i singhiozzi, però, Nijimura inizia a ridere.
    «Sono a casa», dichiara. Sembra un’affermazione stupida, ma è esattamente quello che pensa.
    «Casa?»
    Lo afferra per il colletto senza dargli alcun preavviso, incollando le labbra sulle sue in un bacio vorace e carico di bisogno e sollievo, al quale Haizaki risponde subito senza esitare.
    «Papà?», la vocina di Keiichi li costringe a interrompere il bacio. Nijimura lo guarda con un sorriso, e restando aggrappato ad Haizaki con un braccio, tende l’altro verso il bambino in un invito che il più piccolo non rifiuta, fiondandosi su di lui.
    Lo solleva con l’aiuto di Haizaki, stringendolo forte a sé e permettendosi un lungo sospiro sollevato.
    «Sono a casa, Shougo...», ripete, voltandosi verso Haizaki con un sorriso, ed è solo in quel momento che anche l’altro comprende per davvero la sua affermazione. Ne osserva il viso sciogliersi in un'espressione sollevata e mentre con il braccio libero si asciuga rapidamente le lacrime di gioia che subito iniziano a spuntargli agli angoli degli occhi.
    Shuuzou sa che, in un modo o nell'altro, dovrà chiedergli scusa per il suo comportamento in quegli ultimi mesi, ma è anche certo di poter rimandare le scuse ad un secondo momento, perché tutto quello che gli interessa in quell'istante e solo godersi la sua famiglia. E ridacchiando brevemente al: «Alla buon ora, Shuuzou!», di Shougo, non può non ripetere ancora una volta un: «Sono a casa».


    Note Conclusive:
    A voi che siete arrivati alla fine un immenso grazie!
    So che la fic non è niente di che. Che la fine è forse troppo veloce e boh... ma è uscita così e sono semplicemente felice di essere riuscita a mettere la parola fine su tutto XD

    Per quanto riguarda la fisioterapia e il recupero di Nijimura, mi sono basata un po' su quello che mi hanno detto le mie colleghe a lavoro (lavoro in un centro di riabilitazione XD) ma ho sicuramente sbagliato qualcosa perché ho una memoria pessima. Quindi mi scuso XD
    code by #Michelle
  13. .
    Baby Steps
    Kuroko no Basket
    Lingua: Italiano
    Rating:
    Genere: Introspettivo
    Wordcount: 19160
    Tipo Coppia: M/M
    Personaggi: Nijimura Shuuzou, Haizaki Shougo, Kise Ryouta, Aomine Daiki, Padre di Nijimura (Nijimura Tetsuji), OMC!Nijimura Keiichi
    Pairing: Nijimura/Haizaki (Aomine/Kise)
    Warnings: What if? (E se…), Future!Fic, Perdita di Memoria, Riabilitazione Fisica, Amicizia HaiKise
    FpOCigl
    Status: Y8MVAAv atC6Abr
    Info:
    Trama & Note:
    PROMPT
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    DEDICHE
    A Lera, a Nari e a Rotina

    La prima cosa che Nijimura sente quando inizia a svegliarsi è un rumore: il regolare e fastidioso segnale acustico di una macchina che associa, istintivamente, a quelle ospedaliere - e quasi si sorprende nel rendersi conto che al solo pensiero di un ‘ospedale’ quel suono sembra subito farsi irregolare. Vorrebbe soffermarsi un po' di più su quel suono e cercare di capire esattamente da dove proviene, ma si ritrova costretto ad ammettere di essere parecchio confuso e non in grado di mettere in fila più di un pensiero sensato. Infatti, quando sente un: «Si sta svegliando! Chiamo subito l'infermiera!», gli viene spontaneo domandarsi stupidamente: "Chi si sta svegliando? Io?"
    NOTE
    Fic vecchia (2016) ma resta tutt'ora una delle mie preferite.
    «Non esiste un metodo meno traumatico per dare una notizia simile, ma… questo non è il 2014. È il 2029»
    La prima cosa che Nijimura sente quando inizia a svegliarsi è un rumore: il regolare e fastidioso segnale acustico di una macchina che associa, istintivamente, a quelle ospedaliere - e quasi si sorprende nel rendersi conto che al solo pensiero di un ‘ospedale’ quel suono sembra subito farsi irregolare. Vorrebbe soffermarsi un po' di più su quel suono e cercare di capire esattamente da dove proviene, ma si ritrova costretto ad ammettere di essere parecchio confuso e non in grado di mettere in fila più di un pensiero sensato. Infatti, quando sente un: «Si sta svegliando! Chiamo subito l'infermiera!», gli viene spontaneo domandarsi stupidamente: "Chi si sta svegliando? Io?"

    Avverte dei movimenti concitati attorno a sé in risposta a quell’affermazione, e storcendo il naso si sforza di aprire gli occhi. Ci mette qualche istante prima di riuscire nel suo intento, e la prima cosa che riesce a riconoscere è un soffitto candido - ‘da ospedale’, per l’appunto. Li richiude subito, un po' per la luce troppo forte e un po' per assicurarsi di trovarsi realmente lì quando riesce a riaprirli qualche momento dopo. Il soffitto non è scomparso, e con lui neanche il suono che ha sentito al suo risveglio, di cui individua la fonte quando trova il coraggio di spostare un poco lo sguardo di lato. Quelle rumorose macchine lampeggiano e i loro schermi mostrano numeri e linee che per lui non hanno nessun significato, vicino a esse però nota anche dei fiori freschi, posati ordinatamente sul comodino. Sbatte ancora le palpebre e, nonostante la confusione, Shuuzou non può fare a meno di ringraziare il suo proverbiale sangue freddo - o più che altro il fatto che si senta ancora parecchio intontito - che non lo fa agitare davanti alla conferma del suo ricovero.

    “Non ci vuole un genio per capirlo”, borbotta mentalmente in risposta alla sua considerazione tutt'altro che arguta, che lo spinge a cercare tra i suoi ricordi più recenti il motivo di quella situazione. Spera, ovviamente, che non gli sia accaduto niente di grave, visto che ben presto si rende conto di non ricordare niente dopo aver lasciato la palestra al termine dell’allenamento di quel pomeriggio.

    "È normale essere confusi", si incoraggia, ritrovandosi però completamente rigido quando sente - e subito dopo vede - un bambino arrampicarsi sul suo letto.

    «Papà! Ti sei svegliato finalmente!», esclama questo con un sorriso radioso e sdentato, ed è evidente per Nijimura che qualcuno sia ben più confuso di lui. Gli occhi dorati del bambino brillano di gioia, ma per quanto Shuuzou cerchi di capire di chi si tratti, la sua memoria sembra rifiutarsi di collaborare - o più semplicemente, si dice, non lo conosce affatto.

    Apre la bocca per parlare, rendendosi conto solo in quel momento di avere la gola secca. Emette infatti un verso quasi soffocato, cercando poi tossire nel tentativo di schiarirsi la voce e recuperare l’uso della parola. Tuttavia, ancor prima di poter chiedere a quel moccioso di levarsi di dosso, Shuuzou riesce a notare una seconda presenza nella stanza: quella di un uomo, rimasto in silenzio fino a quel momento. Lo guarda subito alla ricerca di risposte, squadrandolo rapidamente da capo a piedi e concludendo fin troppo facilmente di non avere davanti un medico, ma bensì un uomo sulla trentina dal fisico atletico, occhi chiari e capelli bianchi - “No”, si corregge, “Sono argentati” -, raccolti in una piccola coda bassa. Nota inevitabilmente anche delle borse scure sotto gli occhi e un leggero filo di barba mal curata sul mento e sulla mascella.

    “Forse è il padre del moccioso”, pensa osservandolo ancora. “Ha un volto familiare”, aggiunge poi, ma ciò che tuttavia fa passare le sue considerazioni in secondo piano è l’espressione sollevata che gli legge sin da subito in viso, tant'è che Nijimura non può non chiedersi se sia rivolta a lui o a quel bambino.

    «Keiichi! Si è appena svegliato, dagli un po' di tregua!», esordisce però l'uomo con tono leggero, piegandosi un poco sul letto per prendere in braccio il bambino, «Bentornato tra noi, Shuuzou».

    Nijimura resta spiazzato da quel saluto così familiare, tant’è che si ritrova a boccheggiare come un idiota in preda alla confusione, e solo dopo aver tossito ancora un po’ riesce a bofonchiare: «Chi... cazzo siete?»

    La gola pizzica per lo sforzo, ma in qualche modo riesce ad ignorare sia quel fastidio che la vocina che gli fa presente di non essere stato per niente educato con quei due, ma quella situazione lo sta già mettendo troppo a disagio. Non solo si è appena svegliato, ma non è ancora in grado di ricordare perché si trovi in ospedale: per quello crede che gli sia concesso dare un po’ di matto.

    Ovviamente, si aspetta di vedere chissà quale reazione da parte dell'uomo, ma sicuramente non il viso farsi più pallido e le spalle più rigide quando il bambino mormora un: «Papà?», al quale non sembrano servire altre parole per leggervi lo stupore e la preoccupazione.

    «Keiichi, perché non aspetti per un momento lo zio Ryouta qui fuori?»

    «Ma...»

    «Sarà qui a momenti con il dottore e l'infermiera», lo rassicura mettendolo per terra ed inginocchiandosi alla sua altezza, «Anzi, facciamo così: perché non chiami il nonno?», aggiunge togliendosi dalla tasca un cellulare per consegnarlo al bambino.

    «Papà io non...», balbetta ancora il più piccolo, stringendo il cellulare tra le manine, guardando Nijimura e poi di nuovo l’uomo.

    «Shh...», lo riprende con dolcezza quest’ultimo, carezzandogli i capelli scuri con una mano, «È solo confuso. L’hai sentito il dottore, no? Dobbiamo essere pazienti con lui», lo rassicura e Shuuzou - nonostante sia quasi intenerito da quella scena -, non può non dargli ragione: è confuso. Non capisce cosa sia accaduto, e la cosa lo sta facendo incazzare.

    «Okay...», il bambino annuisce triste e, dopo aver rivolto un’ultima occhiata a Nijimura, si trascina fuori dalla stanza con il capo basso e un broncio che sembra urlare: “Sto per piangere ma devo essere forte”, che fa sentire Shuuzou un mostro - gli viene spontaneo pensare ai suoi fratellini che sembrano quasi due cuccioli bastonati quando è costretto a rifiutare loro qualcosa.

    Una volta soli, l’uomo si rivolge di nuovo a lui, serio come non mai.

    «Shuuzou... come ti senti?»

    «Lei chi è!?», insiste in risposta Nijimura mentre la sua testa si riempie ancora di: “Come sa il mio nome? Cosa mi è successo?”

    «Non mi riconosci quindi?»

    «Assolutamente no!», esclama con voce roca. Certo, continua a sentire un vago senso di familiarità in quel volto, ma quello non basta per fargli ‘riconoscere’ una persona. Anzi, è convinto di non conoscerlo, e in fondo perché dovrebbe?

    Gli rivolge uno sguardo ostile quasi senza volerlo, ed è solo con l’ingresso di un altro uomo in camice bianco, che lo saluta con un: «Nijimura-san! Ben svegliato!», che Shuuzou riesce finalmente a sentirsi un po' più a suo agio, interrompendo quella strana e breve conversazione.

    «Sono il Dottor Yuuta, felice di poter fare la sua conoscenza», si presenta l’uomo cordiale, ma Shuuzou decide all’istante di non voler fare nessuna chiacchierata amichevole.

    «Cosa è successo?», taglia infatti corto, squadrandolo come per assicurarsi di non avere davanti un imbroglione o un pazzo. Il camice e la targhetta sembrano fortunatamente confermare la sua presentazione e, cosa non meno importante, Nijimura non può non notare un'infermiera piuttosto giovane seguirlo come un'ombra.

    «Lei ha avuto un incidente», risponde cordiale il medico, permettendo proprio all’infermiera di controllare le varie macchine per registrarne i parametri. La segue per qualche momento con lo sguardo, poi le sue attenzioni vengono subito attratte dalle occhiate che l’uomo, rimasto ostinatamente nella sua stanza, e il medico sembrano scambiarsi.

    È perplesso, ma cerca in ogni caso di mantenere la calma, ripetendo mentalmente le ultime parole del dottore.

    “Un incidente”, pensa, senza però trovare nessun appiglio nella sua memoria fin troppo confusa.

    «Che... tipo di incidente?», domanda allora, nervoso alla sola idea di non essere in grado di rimettere insieme i pezzi della sua stessa vita che, in quel momento, gli sembra un disastro.

    «Un mezzo fuori controllo ha travolto alcuni passanti», spiega con calma il medico, «Non voglio dilungarmi troppo, visto che in questo istante sono certo che l’ultima cosa che vuole sentire è la solita tiritera medica, ma i danni fisici maggiori li ha riportati nell’arto inferiore destro con una frattura del femore».

    Shuuzou quasi si acciglia nel sentire quelle parole, notando solo in quel preciso istante la gamba bloccata. Si insulta mentalmente per non essere stato in grado di accorgersi di quel dettaglio tutt’altro che ignorabile. Aveva rivolto tutte le sue attenzioni verso l’ambiente circostante - e su quello strano tipo con il bambino -, che non aveva prestato attenzione a sé stesso.

    «Dalla settimana prossima potrà iniziare a muoversi con le stampelle e a seguire un percorso di fisioterapia riabilitativa», riprende il dottore, «Ciò che tuttavia ci ha preoccuparti di più è stato un trauma cranico. Inizialmente siamo riusciti a tenerlo sotto controllo, ma in seguito ad un improvviso peggioramento siamo stati costretti a tenerla in coma farmacologico per 78 ore».

    Nijimura resta ovviamente spiazzato da quelle notizie e, stupidamente, arriva addirittura a chiedersi: “Ma non avranno sbagliato persona?!”

    Perché lui non ricorda ancora nessun incidente, e nel lanciare un'occhiata a quel tipo sconosciuto rimasto nella stanza non può non ritrovarsi a pensare che forse sia stato coinvolto anche lui.

    «Io?», domanda infatti incredulo.

    «Non si preoccupi, in questi casi è normale non ricordarsi l’incidente. Forse, non lo ricorderà mai a causa dello shock», risponde calmo il dottore accostandosi al letto, «Ora le chiedo di seguire la penna e di rispondere a qualche domanda», aggiunge, prendendo una piccola torcia e una penna dalla tasca, «Si ricorda il suo nome?»

    «Certo, Nijimura Shuuzou», risponde con sicurezza, seguendo ovviamente la penna in ogni movimento.

    «La sua data di nascita?»

    «10 Luglio», afferma senza dubbi, trovando addirittura quelle domande stupide e insensate.

    «Sa dove si trova?»

    «In ospedale... a Tokyo. Ma non so dire quale dei tanti», ammette.

    «Benissimo! Non è un problema questo! Sa che giorno è?»

    «No...»

    «Non si preoccupi. Come ho già detto: è normale essere confusi dopo il coma», lo rassicura ancora, «Si ricorda almeno in anno e mese ci troviamo?»

    «Mese…», mormora, correndo poi ai ripari con un: «Siamo sicuramente nel 2014».

    «... d’accordo... mi sa dire che lavoro fa?»

    «Non lavoro. Vado ancora a scuola, alla Teikou», ribatte, trovando un leggero senso di nostalgia nelle sue parole. Sarebbe stato quasi più giusto correggersi e dire che ‘andava alla Teikou’, perché aveva ormai affidato la squadra ad Akashi in vista del suo trasferimento in America per la salute di suo padre...

    «Papà! Mio padre? Dov'è? Come sta?», esclama allarmato.

    «La prego non si agiti», lo redarguisce il medico e Nijimura per un momento è quasi tentato dal mandarlo a quel paese.

    Come può non agitarsi?, si chiede muovendosi irrequieto e provando un moto di rabbia non indifferente per la mancanza di risposte.

    «Mio padre deve riposare», insiste infatti con più decisione, riuscendo pian piano a ricordare alcuni particolari, «È malato, e non deve agitarsi a causa mia! Si trova a Los Angeles per curarsi, e non può sostenere un viaggio simile!»

    «Tetsuji-san sta bene. Era qui fino a qualche ora fa», esordisce tuttavia l'uomo con tono serio, e a quel punto Nijimura vaglia anche la possibilità che quello sia un amico di suo padre.

    «Nijimura-san, prenda un bel respiro. Suo padre sta bene, non ha bisogno di agitarsi per lui», conferma il medico.

    «Non ho bisogno di agitarmi?», ripete. Comprende che la sua salute può peggiorare se si innervosisce in quel modo, ma suo padre è più importante.

    «Mi ascolti bene, so che in questo momento potrà sembrarle assurdo, e non esiste un metodo meno traumatico per dare una notizia simile, ma… questo non è il 2014. È il 2029», spiega il dottore con tono calmo, «È comprensibile essere sconvolti, ma per il suo bene deve stare calmo»

    Shuuzou resta per un momento in silenzio, soppesando le sue parole con un’espressione incredula, che trova sfogo con un: «Cosa? Lei è impazzito!»

    “Dove cazzo sono finito?!”, pensa sempre più nervoso, guardandosi attorno alla ricerca di qualcosa che smentisca quel pazzo, probabilmente scappato dal reparto psichiatrico.

    Perché quello non poteva essere il 2029! Non poteva esserlo! Solo poche ore prima - o giorni, visto che dicevano che era stato in coma per qualche giorno - aveva affidato la squadra ad Akashi in vista della sua prossima partenza e dopo l’allenamento si era messo sulla strada di casa! Come ogni singolo giorno!

    «Avevamo già ipotizzato di trovarci davanti ad una simile eventualità. Credo infatti che lei stia soffrendo di un'amnesia parziale dovuta al trauma», prosegue il medico, ma Nijimura riesce solamente a rivolgergli uno sguardo carico d’astio, che non fa che crescere quando è l’uomo a prendere la parola con serietà.

    «Shuuzou, stai calmo...»

    «Chi cazzo sei per dirmi di stare calmo?!», esclama in risposta.

    Il medico e l’uomo si scambiano l’ennesimo sguardo a causa della sua reazione e, di certo, quello non lo aiuta a placare la sua irritazione.

    «Lui è il signor Haizaki Shougo», esordisce il medico; per la prima volta da quando ha iniziato a parlare la sua voce gli sembra incerta, quasi timorosa, forse a causa del suo sfogo, «Ed è suo marito».

    C'è qualcosa - in realtà più di ‘qualcosa’ - che stona in tutto quello che gli ha appena detto quello pseudo-medico. Non ha ancora superato il "Siamo nel 2029", che quel tipo osa dire che lui - sì, proprio lui, Nijimura Shuuzou - è sposato con Haizaki Shougo, ovvero l'uomo che ha lì davanti.

    “Sono dei pazzi”, afferma mentalmente. Non ha un'altra spiegazione per quelle assurdità, eppure quell'uomo - il presunto Haizaki - continua ad essergli familiare. Somiglia per davvero a quella testa di cazzo del suo compagno di squadra. E, sfortunatamente, l’ipotesi che sia un suo parente non sembra reggere nella sua mente.

    «Ehi... Shoucchi?»

    È una nuova voce quella che si aggiunge a quelle che Nijimura ha sentito fino a quel momento e che lo strappa dai suoi pensieri. Rivolge istintivamente lo sguardo verso la porta, dalla quale fa capolino un altro uomo, biondo e con un viso che definirebbe stupendo - da modello -, e Shuuzou si lascia sfuggire senza pensarci un: «Kise?»

    Sa che si tratta di lui. Pensa che sarebbe in grado di riconoscere ovunque quel taglio degli occhi e la loro tonalità ambrata, ma allo stesso tempo si trova costretto ad ammettere che quell’uomo non possa essere il suo kohai. Perché, a guardarlo bene, il viso di quel tipo è più maturo, più adulto! Non è quello del Kise che conosce!

    «Ben svegliato!», lo accoglie però questo, con un sorriso che urla in tutto e per tutto "Kise", e che si spegne quando si rivolge ad Haizaki - o quello che dice di esserlo. «Nijimura-san è arrivato, e Keiichi ha bisogno di te...»

    Haizaki si umetta le labbra prima di annuire.

    «Okay... arrivo subito», risponde, e dopo aver guardato un'ultima volta Nijimura, lascia la stanza senza aggiungere altro. Lì per lì, gli sembra quasi di vedere di nuovo il bambino di poco prima, e davanti a quello sguardo preoccupato e alla sua espressione quasi ferita, Shuuzou non può non sentirsi in colpa... e perché poi? Non lo conosce neanche! Per quanto dicano che quello è Haizaki, Nijimura continua a dirsi che no: non può essere lui.

    Ciò che però lo lascia ancor più perplesso, azzerando tutti gli altri pensieri, è l'ingresso di quello che subito riconosce come suo padre, con più capelli bianchi e decisamente più vecchio. Non riesce a parlare quando incrocia il suo sguardo, né si sente in grado di rispondere quando gli viene chiesto come sta. Può solo osservarlo con la bocca socchiusa per lo stupore, sentendosi anche internamente sollevato nel vederlo così in buona salute.

    «Crediamo che suo figlio soffra di una forma di amnesia retrograda. Sostiene di essere nel 2014», lo aggiorna il dottore.

    «Siamo nel 2014...», insiste senza però troppa convinzione, «Dovevo raggiungerti in America...», aggiunge fissando ancora il volto del padre come per assicurarsi che non sia un impostore. Vorrebbe toccarlo, abbracciarlo… sentire che è lì per davvero.

    «Quello è successo anni e anni fa, figliolo», risponde l'uomo con tono paziente, «Come vedi sto bene, sempre pronto a prenderti a calci in culo», prosegue con un ghigno che fa battere il cuore di Shuuzou per la gioia. Non può farne a meno, perché vedere suo padre in quelle condizioni è come un sogno… che, ironicamente, è fin troppo reale.

    Gli sembra impossibile capire cosa sia ‘vero’ e cosa invece no, e la felicità provata fino a qualche istante prima gli viene subito portata via da quelle considerazioni. Si sente svuotato da ogni velleità, spaventato e stravolto.

    «Io... non capisco...», mormora.

    «È normale», lo rassicura per l’ennesima volta il medico, «Ora faremo degli altri esami, ma siamo certi che lentamente inizierà a recuperare i suoi ricordi... per il momento pensi solo a stare calmo».

    E Nijimura pensa di poter fare tutto tranne che calmarsi, perché vorrebbe gridare e dimenarsi, ma sente di non averne la forza.

    “In che diavolo di mondo mi sono ritrovato?”

    ----

    Ci sono volute quasi tre ore di altri esami neurologici e numerose spiegazioni da parte di suo padre per convincere Shuuzou di trovarsi effettivamente nel 2029. Ovviamente, continua a non ricordare niente ma, quanto meno, gli era stato raccontato nei minimi particolari ciò che era successo alla loro famiglia dal suo ultimo ricordo. Erano partiti per davvero per Los Angeles, e dopo aver passato lì parecchi anni, erano tornati a Tokyo. Suo padre si era ripreso e stava bene, e tutta la sua vita - almeno a detta del genitore - era fantastica.

    «Hai frequentato qui l’università, ed ora lavori come insegnante di inglese alla Teikou, e sei anche l’allenatore della squadra di basket», gli aveva detto solo qualche minuto prima senza però scendere nei particolari, e per quello Nijimura non può non essere consapevole delle notevoli omissioni fatte in quelle spiegazioni.

    «E... Haizaki?», domanda infatti, nervoso. Non ha ancora accettato che quel tipo visto al suo risveglio fosse proprio Haizaki Shougo e che, soprattutto, fosse suo marito.

    “Uno pseudonimo? Quanti altri Haizaki Shougo possono esistere in Giappone?”, si chiede, trovando quell’ipotesi così ridicola da sentirsi quasi un idiota, “Maledizione! Che cavolo mi è saltato in mente? Sposarmi con lui?!”, si insulta ancora.

    «È qui fuori. Vuoi che lo faccia entrare?»

    Sussulta nel sentire quella proposta, scuotendo istintivamente il capo.

    «No no», esclama.

    «Hai paura di lui?», gli chiede sorpreso l’uomo.

    «Cosa?! Perché dovrei?», ribatte, prendendosi qualche momento prima di riuscire a parlare ancora, «È che… non mi sembra di conoscerlo. È diverso…», ammette.

    «Ti fa sentire a disagio?»

    «Un po’... ma… è davvero mio marito?», riesce poi a chiedergli.

    «Sì, lo è», annuisce Tetsuji, «E vi amate», aggiunge poi, forse dopo aver notato Shuuzou storcere il naso.

    «Tsk...»

    «Se non vuoi vederlo, non ti costringo. Ma è un bravo ragazzo e tiene a te», prosegue con calma, «E lui, sicuramente, saprà raccontarti quello che vuoi sapere meglio di me».

    Nijimura vorrebbe controbattere e lamentarsi sul fatto che abbia definito Haizaki un ‘bravo ragazzo’ - perché quello che conosceva lui, anche se era un ragazzino problematico, era pur sempre una testa di cazzo -, tuttavia non può non annuire. Infatti neanche cerca di fermare il genitore quando lo vede alzarsi dalla sedia per andare verso la porta.

    Vuole sapere, anche se significa affrontare Haizaki. Non ha mai avuto paura di lui - perché dovrebbe? -, ma in quell'istante si sente a disagio all'idea di rivederlo così diverso da come se lo ricordava.

    «Ehi».

    Rialza lo sguardo, accogliendo in quel modo il 'nuovo' Haizaki entrare nella stanza al posto di suo padre.

    «Ehi…»

    Lo squadra di nuovo da capo a piedi, sentendo ancora quella vaga sensazione di familiarità che sembra avere senso se associata al suo compagno di squadra, ma che al tempo stesso gli fa capire di avere davanti una persona diversa.

    «Stai meglio?», gli chiede Haizaki, sedendosi sulla sedia lasciata libera da suo padre.

    «Più o meno», ammette cercando di mantenere la calma, «Non ricordo niente».

    «Il medico mi ha spiegato la situazione», annuisce l'altro, «Ed ha precisato che non devi sforzarti di ricordare. In questi casi è molto alto il rischio di soffrire di numerose emicranie e altri disturbi, che possono peggiorare con questi sforzi».

    «Lo so benissimo», sbotta in risposta, trovando insopportabile quel suo tono così… preoccupato e gentile.

    “Non è Haizaki. Non è lui”, urla mentalmente.

    «Mi ha anche detto che l’irritabilità potrebbe essere una delle conseguenze, ma su di te suppongo sia innata», commenta con un pizzico di ironia che fa istintivamente imbronciare Shuuzou. In quella battuta riesce a rivedere il suo kohai e per quello, forse inconsciamente, riesce a seppellire per qualche momento l’ascia di guerra. Si sente in qualche modo rassicurato da quella sensazione di familiarità appena provata.

    «Il tuo ultimo ricordo?», riprende Haizaki.

    «Ho affidato ad Akashi la squadra, abbiamo fatto allenamento… e stavo tornando a casa quando mi sono svegliato qui».

    Entrambi restano in silenzio dopo la risposta di Nijimura, ed è proprio quest'ultimo a cercare di parlare ancora.

    «Sei cambiato», afferma.

    «Già...»

    «Ho bisogno di spiegazioni se non si fosse capito!»

    «Hai già ricevuto molte informazioni, non credi di esagerare?»

    Shuuzou storce il naso per la sua risposta che gli fa rimpiangere il non potersi alzare, perché in quel momento sente per davvero il bisogno di poterlo prendere a calci in culo. Tuttavia, si dice, sa di poter sempre rimediare in qualche altro modo.

    «Avvicinati», sbotta infatti.

    «Ah-ah. No», risponde l’uomo scuotendo il capo e piegando le labbra in un piccolo ghigno che spinge Nijimura a pensare: "Questo è Haizaki", «Conosco quella faccia e non intendo farmi male».

    «Non mi scapperai per sempre», controbatte subito.

    «E non intendo farlo: sei mio marito».

    La naturalezza di quell’affermazione riesce, ovviamente, a spiazzare Shuuzou, facendogli sentire le guance in fiamme.

    Non lo capisce! È complicato!

    Non può ignorare né il fatto che lo definisca così tranquillamente ‘marito’ e né tanto meno l’imbarazzo che scaturisce da quell’affermazione. Inoltre, cosa non meno importante, l’aria più matura che emana Haizaki lo spinge a pensare che sia 'figo'... e, di conseguenza, quello lo fa imbarazzare ancor di più.

    «Che... cosa ti è successo?», domanda piano, distogliendo lo sguardo per qualche momento nella speranza di scacciare quei pensieri.

    «Ho fatto troppe scelte sbagliate e alla fine, una volta toccato il fondo, le cose erano due: o scavavo o mi arrampicavo», spiega, «Ci siamo ritrovati mentre stavo rimettendo insieme i pezzi della mia vita e mi hai aiutato, come sempre».

    Nijimura annuisce serio, ascoltando quella spiegazione semplice e senza troppi fronzoli. Vorrebbe sapere di più in realtà, ma è certo che se da una parte Haizaki non voglia confonderlo dandogli troppe informazioni, dall’altra si senta anche a disagio nel ricordare il passato. Inoltre, per quanto riguarda la sua confusione, sente di potergli dare ragione: perché in fin dei conti quelle erano un mare di notizie per chi era appena uscito da un coma, senza ricordi degli ultimi dieci anni, ma quelle parole gli fanno anche desiderare di voler sapere di più.

    «Quindi... siamo sposati», ricapitola.

    «Da cinque anni», precisa Haizaki.

    «E, ovviamente, viviamo insieme», continua Shuuzou.

    «Quanta arguzia», ghigna in risposta, meritandosi un'altra occhiataccia da parte di Nijimura - quando sarà di nuovo in grado di muoversi, gliela farà pagare, si ripromette.

    «Tsk... che lavoro fai? Non sarai uno di quelli che ciondolano in casa senza fare niente».

    «Ciondolo parecchio a casa», ammette Haizaki, «Ma lavoro lì, quindi non è un problema».

    «Eh?»

    «Non ridere», lo avverte con un sorrisetto, «Sono un fisioterapista, ho uno studio domestico», spiega, e Nijimura non può non concedersi una risata, la prima da quando si è svegliato.

    «Fisioterapista!», ripete divertito.

    «Eh sì», annuisce Haizaki, senza mostrarsi offeso, forse solo un po' nostalgico, «Avevi riso anche la prima volta», aggiunge piano, spegnendo senza volerlo l'ilarità di Nijimura.

    “La prima volta”, ripete con l’amaro in bocca. Non può non ammettere di trovare facile, e anche quasi piacevole, chiacchierare con lui, ma quella 'complicità' gli fa capire di aver dimenticato qualcosa di molto più importante di qualche ricordo... e quello lo fa sentire frustrato. Per quanto sia felice all’idea che suo padre sia guarito del tutto, Shuuzou fatica ancora ad accettare quella situazione, ma è costretto a concedersi che quella è la prima volta che sente per davvero di voler ricordare anche Haizaki.

    Lascia calare il silenzio, cercando qualsiasi cosa in grado di scacciare quelle sensazioni ed aggrappandosi infine ad uno dei primi ricordi che ritiene sensati dal suo risveglio - e che in quell’istante ricorda solo vagamente, anzi: in realtà ricorda ben poco - fino a quel momento.

    «E… Kise?», domanda, strappando in Haizaki nuovo sorrisetto.

    «Devo ritenermi offeso? Riconosci Ryouta e non me».

    «Lui è uguale a come lo ricordo!», si difende, «Tu sei... diverso», aggiunge.

    «Effettivamente non hai tutti i torti», acconsente Haizaki, toccando distrattamente la bassa coda argentea che si appoggia sulla sua spalla, «Dopo un vergognoso periodo di treccine africane, ho deciso di lasciare crescere i capelli».

    “Treccine africane?!”, ripete mentalmente Shuuzou, sentendo la lingua pizzicare per la curiosità.

    Riesce in qualche modo a ingoiare la voglia di indagare, cercando di riportare il discorso sul giusto binario.

    «Non è questo il punto. Tra voi due, tra te e Kise, che succede?», insiste infatti.

    «È il mio migliore amico», risponde l’altro, «Ci credi?»

    «… no».

    «Dovresti invece. Anche se è estremamente appiccicoso e chiassoso, non è male averlo attorno ogni tanto».

    «Questo non è il futuro… mi sono svegliato in un universo parallelo», mormora, sinceramente sorpreso da quell'informazione.

    «Eri sconvolto anche la prima volta che ci hai visti insieme», spiega.

    «Questa è una storia che vorrei sentire», risponde speranzoso.

    «È un trucco per conoscere tutta la storia, vero?»

    «Stai insinuando che sto cercando di prenderti in giro?», sorride quasi d'istinto.

    «Non sia mai!», risponde Haizaki portando una mano al petto, «Ma non vorrei che il tuo povero piccolo cervellino confuso vada in tilt», prosegue con un ghigno, smorzando in un lampo l’ilarità di Shuuzou.

    «Ti ammazzo», lo minaccia con un broncio, strappando nell'altro una risata.

    «Okay okay…», si arrende, «Ti racconterò tutto, non solo di Ryouta», gli concede e Nijimura non può non piegare le labbra in un sorriso soddisfatto.

    «Per farti capire tutto, devo partire dalla terza superiore. Dopo oltre un anno di pausa, avevo deciso di riprendere a giocare a basket. Avevo passato l'intero secondo anno delle superiori a cercare di tagliare fuori il basket dalla mia vita, ma non ci ero riuscito. Non ero stato in grado di dimenticarlo, e quindi dopo aver tagliato i ponti con le pessime compagnie che avevo iniziato a frequentare, ho cercato di riprendere il mio posto in squadra e di lasciarmi tutto alle spalle...», racconta con calma ed un tono vagamente triste che non sfugge a Shuuzou, «Vorrei dire di aver trovato numerosi ostacoli nella mia ‘corsa alla maglia da titolare’, ma i miei compagni non erano dei gran geni. La mia presenza in squadra sembrava essere necessaria per loro nonostante i trascorsi, quindi riottenere il mio ruolo era stato più facile e veloce di quanto avessi pensato. Tuttavia, per quanto fossi superiore tecnicamente, avevo passato un anno a cazzeggiare, e a livello fisico sentivo il peso delle mie stronzate. Mi dicevo: "Perché cazzo hai perso tutto questo tempo? Come hai fatto a rimanere così indietro?". Puoi immaginare la frustrazione! Ho continuato quindi ad allenarmi, anche dopo le ore regolari del club perché volevo recuperare. Volevo scontrarmi contro la Generazione dei Miracoli a testa alta... ma ironicamente perdemmo al torneo primaverile contro quello stramboide di Midorima».

    «... si portava ancora dietro i suoi portafortuna?», gli chiede, cercando di non commentare il resto. Non ci voleva un genio per sapere come era andata a finire con Haizaki e i suoi allenamenti da folle. Certo: il fatto che avesse cercato di recuperare e di fare ammenda dei suoi errori gli faceva onore, ma doveva sicuramente aver esagerato.

    “Se ci fossi stato, gli avrei impedito di fare il coglione in questo modo”, pensa istintivamente.

    «Cazzo sì! In panchina c'era un dakimakura con Nico! Lo ricordo come se fosse ieri, e non ho bisogno di avere una commozione cerebrale»

    «Sto perdendo il conto di quante volte dovrò prenderti a calci in culo», borbotta, riprendendo poi con un: «Nico?», abbastanza confuso.

    «Yazawa Nico. Love Live. Hai presente? Le idol... l'anime e il gioco!»

    «Non voglio sapere come fai a conoscere Love Live...»

    Haizaki ride ancora.

    «Il gioco era una fottuta droga», taglia corto, per poi proseguire in modo un po' più serio, «Sarebbe un eufemismo dire che non l'avevo presa male, ma in quel momento non ero arrabbiato con la squadra o con Midorima; avevo ancora in testa la certezza di aver perso a causa delle mie cazzate. Non potevo più permettermi altre perdite di tempo: dovevo arrivare alla Winter Cup pronto a tutto. E sono finito in ospedale solo qualche mese dopo proprio contro Daiki».

    «Overworking?», domanda Nijimura con la certezza di aver ragione.

    «Già... ma avevo dato del mio meglio, sai? Più giocavo, più mi rendevo conto di quanto il basket mi fosse mancato e di quanto fossi stato un idiota a rinunciare… e a quel punto, più che la vittoria, desideravo che anche gli altri si rendessero conto del mio cambiamento: dovevano capire che stavo facendo di tutto per essere una persona migliore. Combattere contro Daiki poi… quel tipo è sempre stato un mostro, per non parlare del fatto che c'è l'aveva ancora con me per via di Ryouta...», constata più per sé stesso che per Nijimura, costringendolo infatti ad interrompere il racconto per avere più spiegazioni.

    «Cosa era successo con Ryouta?»

    «Mh…. in prima superiore ci siamo scontrati. Sono stato sconfitto ed ho… cercato di fargli del male, prima in campo e poi fuori», ammette.

    «Sei una testa di cazzo!»

    «Daiki l’aveva intuito. E con un pugno mi ha steso prima che riuscissi a fare un casino», spiega, «Solo in seguito mi sono reso conto di essergli davvero riconoscente per avermi fermato».

    Nijimura annuisce serio.

    «Quindi la partita?», gli chiede poi per fargli proseguire il racconto.

    «Stavamo perdendo, ma lo scarto non era eccessivo», riprende Haizaki, «Riuscivo a rendere nulle le azioni dei compagni di Daiki e, fortunatamente, alcuni dei primini della mia squadra non erano delle seghe totali, quindi riuscivamo in qualche modo a stare abbastanza vicini con il punteggio. Ovviamente, solo io ero in grado, in qualche modo, di stare dietro Daiki e... ad un certo punto ricordo di aver quasi creduto di potercela fare. Non so come definire quello che mi successe, e tutt’ora non mi è mai capitato di sperimentare di nuovo quelle sensazioni, ma ero così immerso nel gioco che mi sembrava di sentire le singole goccioline di sudore sulla pelle, i respiri degli altri giocatori e i movimenti della palla quasi al rallentatore... poi tutto finì a qualche minuto dalla fine del terzo quarto. Tutte le mie energie si erano esaurite e mi ero involontariamente lasciato andare. Volevo continuare a giocare ma il mio corpo non rispondeva più ai miei comandi. Ricordo perfettamente di aver messo male il piede dopo una schiacciata e di essere caduto sul parquet. Ero così fuori di me da non essermi neanche reso conto di aver perso i sensi. Mi risvegliai in ambulanza, in viaggio per il pronto soccorso. Distorsione alla caviglia e stiramento ad uno dei legamenti della spalla», gli spiega con amarezza, «Ho incontrato Ryouta per la prima volta quello stesso giorno. Si trovava al pronto soccorso per il ginocchio, e ironicamente non si era fatto male sul campo, ma durante uno dei suoi photoset... e puoi immaginare la sua frustrazione. Lì per lì però non abbiamo parlato tanto, prima di tutto perché subito dopo era arrivato Daiki in soccorso di Ryouta, come se fosse una fighetta in difficoltà, poi perché non avevo niente da dirgli. Ero imbarazzato e arrabbiato, e solo quando ci siamo ritrovati costretti a frequentare lo stesso centro di riabilitazione ho capito che Ryouta provava la mia stessa frustrazione e rabbia. Ci siamo trovati stranamente vicini, e senza che me ne accorgessi eravamo già amici… anche perché, non ho mai avuto un amico. Quindi non sapevo esattamente di poterlo definire in quel modo».

    «Haizaki...»

    «Lo so. Mi sono comportato come un coglione e ti dispiace non esserci stato per farmi togliere la testa dal culo», riprese con tranquillità, «Parole tue, ovviamente. Me lo hai detto tante volte, soprattutto dopo il tuo rientro. Sai, devo essere sincero, anche se stavo cercando di cambiare, vederti mi ha creato parecchi problemi. Solo con l’andare del tempo avevo capito che avevi sempre cercato di aiutarmi alle medie, ma a quei tempi era difficile accettarlo. Inoltre, ero rimasto solo per così tanto tempo che rivederti mi ha fatto anche capire quanto avessi visto la tua partenza come un tradimento...», ammette, continuando poi a parlare per impedire a Shuuzou di aprire bocca, «In quei mesi ricordo di averti accusato più volte di avermi lasciato nella merda. Ammetto che il mio non era stato un atteggiamento nobile, ma dalla tua parte posso dire che, nonostante le mie accuse, sei ugualmente rimasto con me per aiutarmi. Con il tempo poi ho avuto il coraggio di rivelarti il mio desiderio di diventare un fisioterapista. Hai riso come un idiota, ma mi hai dato il tuo supporto. Abbiamo iniziato a frequentarci, ci siamo sposati e fino a qualche giorno fa eravamo una coppia felice».

    Nijimura decide di non commentare il suo ‘coppia felice’ - anche perché una piccola parte di sé gli sussurra un: “Con un Haizaki così è ovvio essere felici” -, preferendo invece soppesare ogni singola parola pronunciata dall’altro. Sono tante informazioni ed è anche certo che manchi qualcosa, qualche omissione importante del ‘se stesso del 2029’, ma per il momento decide di potersi accontentare.

    «… perché proprio fisioterapista?», gli chiede allora.

    «Sarebbe romantico dire: “Volevo aiutare le giovani promesse dello sport a riprendersi dagli infortuni”,ma alla fine mi piaceva il fisioterapista che mi aveva in cura e mi ha spinto lui a questa professione», dichiara con un ghigno.

    «… mi stai prendendo per il culo?!»

    «Sei geloso?», insinua Haizaki, palesemente divertito spingendo però Shuuzou ad interrogarsi sulla sua reazione. Non capisce esattamente cosa stia provando, e vuole convincersi che non si tratti di gelosia ma che sia invece fastidio.

    «No», risponde infatti, «Mi... sembra solo una motivazione stupida», ammette.

    «È in parte vera», riprende Haizaki, «È stato per davvero il mio terapista a spingermi verso questa professione. Mi aveva fatto capire di avere la mia intera carriera tra le sue mani. Poteva distruggermi o portarmi alle stelle in un lampo: dovevo solo ascoltarlo senza fare il coglione. E ammetto che l’idea di avere quel potere mi ha affascinato».

    «Questa è sicuramente la verità», concede Shuuzou divertito, e per quanto gli sembri ancora strana l’idea di parlare in quel modo proprio con Haizaki - e, soprattutto, avere la consapevolezza di avere un rapporto ben diverso e più profondo con lui -, Nijimura si trova anche costretto ad ammettere di sentirsi a suo agio con quelle chiacchiere. E, ancora una volta, si ritrova a pensare che: “Con un Haizaki così sarebbe davvero facile essere felici”.

    -----

    Prima che gli venisse finalmente permesso di lasciare l’ospedale, Nijimura era stato costretto a passare lì un’intera settimana. La sua memoria non era tornata in quei giorni, ma il medico si era sin da subito mostrato positivo su un suo recupero non appena avrebbe rimesso piede a casa e ripreso la sua solita quotidianità - aveva anche ripetuto più volte di non cercare di strafare, sia a lui che a Haizaki, perché i ricordi sarebbero tornati senza spinte. E, con la gamba ancora fasciata e delle stampelle, che avrebbe potuto utilizzare solo quando avrebbe avuto abbastanza energie per alzarsi dal letto - cosa che sperava accadesse presto, perché non ne poteva già più di stare disteso -, Shuuzou varca la soglia di quella che dovrebbe essere casa sua su una sedia a rotelle spinta da Haizaki.

    Si guarda subito attorno alla ricerca di qualcosa che gli faccia dire “Questa è casa mia”, ma niente di tutto quell’arredamento gli sembra familiare.

    «Rimandiamo il tour a quando potrai alzare il culo dal letto», annuncia Haizaki, spingendolo oltre un luminoso salottino per immettersi in un corridoio, «Ti basti sapere che questa è la tua camera. Qui ti farai il sedere piatto per i prossimi giorni», riprende portandolo all’interno di una stanza.

    «Fai un altro commento sul mio culo e vedrai dove finiranno queste stampelle», ringhia Nijimura, stringendo le mani su quelle che già vede più come armi che come alleate per alzarsi dal letto.

    Ignora con difficoltà la risata di Haizaki - “Ride bene chi ride ultimo, idiota”, pensa quasi imbarazzato dal fatto che quel suono sia stato subito in grado di scaldargli stranamente le guance -, cercando invece di concentrarsi sulla sua camera da letto. È grande e arieggiata, con un letto matrimoniale che gli fa istintivamente pensare un “Non è solo la MIA stanza è la NOSTRA stanza”. Quella certezza lo imbarazza ulteriormente, e si dà subito dello stupido perché, essendo sposati, è normale che dormano insieme, ma la sua mentalità non è quella di un trentenne sposato, ma bensì quella di un quindicenne… e sa per certo di non aver mai dormito con un altro uomo - o con una donna. Ha diviso la stanza con altri ragazzi, e talvolta anche il letto con i suoi fratellini, ma è ovvio che nessuna delle esperienze che è in grado di ricordare sia anche solo paragonabile a quelle di una coppia sposata.

    «Quindi... tu...», esordisce.

    «Dormirò sul divano», lo anticipa Haizaki, fermandolo accanto al letto per sistemare i cuscini, «Il dottore ha detto di non correre, no?», gli ricorda.

    «Stento ancora a credere che tu sia... tu!», borbotta Nijimura, allungando istintivamente le braccia quando Haizaki si piega su di lui per aiutarlo ad alzarsi e spostarsi sul letto - sicuramente più comodo di quello dell’ospedale.

    «E dire che spesso di mi dici: “Non sei cambiato per un cazzo, Haizaki!”», dichiara l’altro, esibendosi in quella che, alle orecchie di Shuuzou, suona come una fin troppo perfetta imitazione della sua voce.

    «Tsk... le stampelle. Vorrei averle vicine per ogni evenienza», borbotta, indicando con un gesto del capo le due rimaste sulla sedia a rotelle.

    «Okay. Ma tanto sono qui, non dovrai fare niente da solo. Il bagno è pure vicino», spiega Haizaki tranquillo, indicando con un gesto una porta alle sue spalle e appoggiando in ogni caso le stampelle accanto al comodino.

    «Sì, sì... lo so», mugugna in risposta Nijimura, prendendone una, «Ah, Haizaki?»

    «Sì?», e in un lampo la stampella va ad abbattersi sullo stomaco dell’altro, strappandogli un gemito tra l’infastidito e - forse - il divertito.

    «La prossima volta che mi prendi per il culo non ci andrò così piano!», lo minaccia con un pizzico di soddisfazione nella voce.

    «Oh, Shuuzou... non sai quanto questa affermazione sia familiare alle mie orecchie... e sicuramente non vorrai neanche sapere in quali occasioni l’hai utilizzata~», aggiunge Haizaki, allontanandosi rapido dal letto per evitare delle sicure ritorsioni. Infatti a Shuuzou bastano pochi istanti prima di capire il senso delle sue parole e di sentirsi avvampare fino alla punta delle orecchie.

    «S-sei un maledetto maniaco!», gracchia, facendo ancora ridere Haizaki.

    «Sì, lo ammetto», concede, assumendo poi un’espressione quasi seria, «Ma sono felice di poterti riavere a casa...»

    Nijimura trova difficile non riuscire a calmarsi dopo quelle parole, rendendosi finalmente conto che, per quanto per lui sia stato traumatizzante svegliarsi in quel ‘mondo’, per Haizaki doveva essere stato anche peggio scoprire che era stato coinvolto in un incidente, per non parlare del fatto che aveva perso la memoria e che non ricordava assolutamente niente della loro relazione. Si sente quasi investito da quella consapevolezza, arrivando addirittura a vergognarsi per la sua mancanza di empatia, e anche se è certo di poter essere giustificato, non può non sentirsi una pessima persona.

    Apre infatti la bocca per scusarsi, riuscendo solo a bofonchiare qualcosa senza senso che lo fa sentire un perfetto idiota.

    «Pensa solo a riposarti, tra qualche giorno potrai iniziare a muoverti per casa e penseremo anche alla terapia riabilitativa», riprende Haizaki senza dare peso al suo blando tentativo di scuse.

    «Eh?»

    «So che è poco professionale, ma ho convinto il Dottor Yuuta ad affidarti alle mie sapienti mani di fisioterapista...», spiega con un sorrisetto divertito e, continuando a mantenere una certa distanza di sicurezza, aggiunge un: «Non ti eccita l’idea?», che suona così malizioso alle orecchie di Nijimura da farlo avvampare per l’ennesima volta.

    Rimanda a data da definirsi le scuse, iniziando invece a sventolare la stampella verso l’altro senza ovviamente avvicinarsi neanche lontanamente a colpirlo.

    «Fottiti Haizaki!», esclama imbarazzato.

    Lo sta facendo di proposito quel maledetto! Ma, in un certo qual modo, Shuuzou trova anche rassicurante quel battibeccare. Non sa come si sia evoluto il loro rapporto in quegli anni, ma quanto meno sa come era alle medie, e l’idea di poter discutere con lui, anche scherzosamente, lo fa sentire bene.

    «Cosa vuoi per pranzo? Ordino qualcosa», si riprende Haizaki.

    «Mh? Non cucini tu quindi?», gli chiede riscuotendosi dai suoi pensieri.

    «Solitamente te ne occupi tu», ammette Haizaki tranquillo.

    Nijimura annuisce, cacciando il più lontano possibile il: "Finalmente un difetto che lo rende meno perfetto... oh cazzo! Ho appena definito Haizaki 'perfetto'? Che problemi ho?", e storcendo poi subito dopo il naso quando sente l'altro proporre: «Prendiamo qualcosa di leggero».

    «Ma anche no! Sono stufo di mangiare minestrina e cose da ospedale!», si lamenta.

    «Pizza?», propone quindi Haizaki con un sorrisetto al quale Nijimura trova impossibile non rispondere.

    «E pizza sia», accetta infatti.

    «Chiamo e torno, non muoverti», esclama, allontanandosi dalla stanza sotto lo sguardo attento di Shuuzou.

    È in quel momento che Nijimura si permette di osservare con più attenzione la camera. Il letto è affiancato da due comodini bassi, e mentre sulla sinistra troneggia un'ampia vetrata che sembra dare ad un giardinetto - "Ci trattiamo bene se abbiamo anche un cortile", pensa -, sulla destra oltre l'ingresso alla camera è impossibile non notare un grande armadio che occupa gran parte del muro e che, come intuisce senza troppi problemi, sicuramente raccoglie i vestiti di entrambi. Davanti al letto, invece, vede la porta del bagno - ringrazia che sia lì: in quelle condizioni non è certo di poter fare chissà quali tragitti per i suoi bisogni - e una cassettiera in legno che attira suo malgrado tutte le sue attenzioni.

    Per quanto sia elegante, perfetta con il resto dell'arredamento, non può non pensare che sia... vuota. È come se mancasse qualcosa, e non lo dice per un qualche ricordo, ma più che altro per un occhio critico e osservatore.

    Infatti, al rientro di Haizaki, non può non chiedergli spiegazioni.

    «In quella cassettiera... manca qualcosa», dichiara, sentendosi poi quasi in colpa nello scorgere un lampo di speranza attraversare gli occhi di Haizaki, «Non ricordo niente, per il momento, è solo un commento a livello... estetico», aggiunge.

    «Oh», esala l'altro, «Beh, non hai tutti i torti», ammette poi guardando a sua volta la cassettiera.

    «Cosa c'era sopra?»

    «Solo foto», sminuisce Haizaki.

    «Ovviamente nostre foto», precisa Nijimura, «Perché le hai tolte?»

    «Il medico ha detto di andarci piano».

    «Oh andiamo! Che vuoi che siano delle foto!?», sbotta nervoso, «So già che siamo... beh, sposati. Vedere delle foto non mi creerà problemi».

    Haizaki lo fissa per qualche momento, come se stesse soppesando le sue parole.

    «Hai ragione», si trova costretto ad accettare, «Più tardi le rimetto», conclude.

    «Perfetto», annuisce soddisfatto Shuuzou. In realtà, anche se non vuole ammetterlo, si sente ulteriormente a disagio all'idea di vedere delle foto che lo ritraggono felice accanto ad Haizaki. Certo, in quei giorni ha già pensato più e più volte a quanto fosse 'facile' essere felice con un 'Haizaki del genere' - fin troppo a dirla tutta -, ma dall'altra parte ha paura delle sensazioni che potrebbe provare.

    Durante la sua lunga degenza in ospedale si era ovviamente permesso di pensare ai suoi sentimenti. L’Haizaki che stava imparando a conoscere era affascinante e maturo, con un pizzico di idiozia e di cinismo che gli calzavano a pennello, ma Nijimura sapeva che, oltre quelle piccole cose, lui non era mai stato innamorato del suo kohai. Per lui aveva provato un sacco di altri sentimenti - dalla preoccupazione alla rabbia -, ma tra questi non aveva mai scorto l'amore.

    Come si era innamorato di lui? E, soprattutto, sarebbe riuscito a provare ancora quei sentimenti?

    Scuote un poco il capo, tentando di allontanare quelle ombre dalla sua mente. È appena stato dimesso dall'ospedale e i medici sono fiduciosi sulla sua ripresa, per quello è troppo presto pensare "E se non ricordassi più?"

    Tenta quindi di rilassarsi, e dopo aver chiuso gli occhi si concede un lungo sospiro. Rimane in quella posizione per quelli che gli sembrano solo pochi istanti, ma che in realtà sono molti di più, rendendosene conto infatti solo quando Haizaki inizia a chiamarlo con un basso: «Shuuzou?», al quale lui si costringe a rispondere con un mugugno.

    Socchiude un poco gli occhi, trovandoli stranamente pesanti, rivolgendo all’altro uno sguardo confuso.

    «Mh?»

    «L'ora della nanna è finita, e la pizza è arrivata», annuncia Haizaki lasciando, ovviamente, Nijimura perplesso.

    “La pizza è arrivata”, ripete inconsciamente, mormorando poi un roco: «Mi sono addormentato?»

    «Per un'ora e mezza», precisa l'altro.

    «Ah...»

    Non si era reso conto di essersi addormentato, ma in un certo qual modo si sente quasi rassicurato: pur non conoscendo la casa - almeno non consciamente - il suo corpo si è rilassato senza neanche doversi sforzare.

    «Se ti senti abbastanza in forma potresti provare a fare qualche passo verso la cucina, altrimenti ci spostiamo con la sedia», prosegue Haizaki tranquillo.

    «Cammino. Ho il culo per davvero piatto per quanto sono rimasto sul letto», borbotta.

    «Tu puoi parlare del tuo culo e io no?», commenta l'altro, spostandosi per aiutarlo ad alzarsi.

    «Assolutamente», conferma Shuuzou, accettando tuttavia l'aiuto di Haizaki, certo che senza la sua presenza non sarebbe mai riuscito a sollevarsi... o meglio: ci sarebbe riuscito, ma non è certo che sarebbe anche stato in grado di mantenere sin da subito l'equilibrio. Impugna entrambe le stampelle una volta trovata una posizione stabile, e stringendo con forza i pugni su di esse, si rende conto di provare una dose di sicurezza non indifferente alla sola idea di avere Haizaki accanto a sé, pronto a sorreggerlo in ogni momento.

    Non tenta neanche di scacciare quel pensiero in parte imbarazzante, preferendo al contrario rivolgere tutte le sue attenzioni verso un primo ed incerto passo. Stringe le labbra per lo sforzo e per il dolore alla gamba che, suppone, sia normale.

    «Appena senti di non farcela ci fermiamo. Non serve a niente fare il forte», lo avverte Haizaki.

    «Devo abituarmi a questa... tua personalità», commenta Nijimura, scoprendosi ulteriormente imbarazzato per quelle attenzioni così premurose.

    «È solo perché sei un disabile», ribatte Haizaki con un ghigno, meritandosi un'occhiataccia da parte dell'altro.

    «Ringrazia che le stampelle mi servono per reggermi in piedi», sbotta proseguendo a passo di lumaca verso la porta della stanza, fermandosi dopo qualche minuto con il fiatone e la certezza che non sarebbe mai riuscito ad arrivare alla cucina. La porta gli sembra tremendamente lontana e lui si sente così debole per tutti quei giorni passati a letto - senza contare l'operazione -, che la soluzione migliore gli sembra per davvero rinunciare.

    «Sedia a rotelle?», gli propone infatti Haizaki, anticipando i suoi pensieri.

    «Sedia a rotelle», conferma, tirando poi un sospiro di sollievo quando, finalmente, riesce a tornare seduto, «Lo sto facendo solo per la pizza. Non voglio che diventi fredda».

    «Certo», annuisce l'altro con un tono palesemente divertito al quale Nijimura, solo per il momento, decide di non dare peso perché quando finalmente entrano in cucina, e alle sue narici arriva l’invitante profumo della pizza, Shuuzou capisce di essere veramente affamato.

    Riconosce subito l’odore del suo pasto quando Haizaki lo ferma davanti a un cartone ancora chiuso e, sorpreso, non può non voltarsi verso l’altro uomo cercando risposte.

    «Non mi hai chiesto che pizza volevo», dichiara, rendendosene conto solo in quell’istante.

    «Tanto scegli sempre la stessa», risponde Haizaki prendendo posto accanto a lui, «Carbonara, con molta pancetta, uovo sbattuto e panna. Un pizzico di pepe. Con il bordo fine perché non ti piace mangiarlo».

    Da una parte Shuuzou vorrebbe negare solo per fargli un dispetto, ma davanti a tutti quei dettagli che descrivono la sua pizza perfetta, non riesce a dire niente.

    «Okay... mangiamo», borbotta però, aprendo il cartone e lasciandosi investire dall’odore delizioso della sua prima cena fuori dall’ospedale. Quel pensiero riesce subito a metterlo di buon umore, e dimenticato l’imbarazzo, accetta senza smettere di sorridere le posate che Haizaki gli porge per poter tagliare la pizza in spicchi.

    Dopo il primo morso, non è certo se si tratti o meno del condimento o della pasta in sé, o proprio perché quello è a tutti gli effetti il primo pasto solido che riesce a mangiare, ma non può non pensare che quella pizza sia ottima. La divora con gusto, rendendosi conto solo alla fine - dopo aver lasciato gran parte dei bordi della pizza sul piatto - dello sguardo di Haizaki.

    «Che c'è?», mugugna imbarazzato. Non capisce il perché del suo disagio, ma vorrebbe scappare da quegli occhi tanto familiari quanto diversi.

    «Pensavo che ti saresti soffocato. Hai masticato almeno?», dichiara l'altro, ma Shuuzou - per quanto vorrebbe fargli un gestaccio - legge qualcos'altro tra le righe, ed è un qualcosa simile ad un "È bello vederti mangiare di nuovo", che lo fa sentire ulteriormente a disagio.

    «Fottiti, Haizaki», mugugna prendendo un bicchiere di coca-cola, iniziando poi a sorseggiarlo con calma mentre con gli occhi si permette di scandagliare la cucina alla ricerca di qualcosa che gli faccia accendere la cosiddetta lampadina. La stanza è divisa da un bancone in legno scuro che separa la vera e propria cucina dal tavolo nel quale sono seduti. Vede un piano ad induzione al posto dei classici fornelli, dei coltelli posti ordinatamente vicino in un lato del bancone e quello che sembra essere un centro tavola con della frutta. Tutto l'arredamento è scuro, nero per la precisione, e crea un elegante contrasto con i muri bianchi.

    "Hai buon gusto", vorrebbe dirgli, ma davanti a quella considerazione preferisce tenere la bocca chiusa, perché quel tipo di arredamento è quello che avrebbe scelto per la sua casa, e quindi con molte probabilità era stato lui stesso ad arredare quella cucina. Più ci pensa, più si rende conto di vedere il suo tocco nel mobilio, ma sfortunatamente niente di tutto quel che vede fa scattare qualcosa nella sua memoria.

    "Pazienta ancora un po’....", cerca di incoraggiarsi, stringendo istintivamente i pugni per la frustrazione, "Ti riprenderai".

    «Vuoi tornare in camera?»

    La domanda di Haizaki lo lascia spiazzato, e anche se l'altro ha utilizzato un tono neutro, tranquillo, Shuuzou avverte anche un pizzico di preoccupazione - è come se avesse visto qualcosa nel suo viso che lo ha fatto allarmare. Non sente il bisogno di distendersi a dirla tutta, ma più che altro la necessità di stare un po' solo.

    «Sì», annuisce infatti, «Forse è meglio».

    Si lascia quindi portare da Haizaki di nuovo in camera, e in rigoroso silenzio si fa anche aiutare a tornare disteso. Nessuno dei due si mostra intenzionato a parlare, ma nel "A dopo", di Haizaki, Nijimura è certo di avvertire anche un "Se hai bisogno di qualcosa sono qui".

    È rassicurante quella certezza, ma Shuuzou sa che non lo chiamerà.

    Si concede un sospiro una volta solo, e riportando lo sguardo sulla cassettiera, nota subito che sono apparse alcune cornici, segno che Haizaki ha deciso di assecondarlo. Aguzza lo sguardo per vederle meglio, sporgendosi un poco in avanti con il busto senza rendersene conto. Riconosce il suo viso e quello di Haizaki, ma non capisce dove si trovino né quando possano essere state scattate, tuttavia ciò che ovviamente percepisce in ogni foto è la felicità. Quella consapevolezza però non lo lascia spiazzato come invece aveva creduto fino a poco tempo prima, gli sembra normale.

    Continua ad osservarle, studiando i dettagli dello sfondo, degli indumenti che indossavano ed anche i loro sguardi, sforzandosi di portare alla mente un ricordo o qualsiasi altra cosa. Gli viene spontaneo imprecare tra sé e sé davanti alla totale mancanza di risultati, e affondando con la schiena nel materasso, porta gli occhi sul soffitto nella speranza di calmarsi e di non lasciarsi prendere dallo sconforto.

    Si sente stanco e abbattuto, e per quanto una piccola parte di sé stia continuando ad insistere che quella che sta vivendo è solo una cosa passeggera, in quell’istante non riesce a credere a niente.


    Note Conclusive:
    Note nel prossimo capitolo!
    code by #Michelle


    Edited by #Michelle - 1/11/2020, 16:02
  14. .
    La Guerra dei Pannolini
    Kuroko no Basket
    Lingua: Italiano
    Rating:
    Genere: Introspettivo
    Wordcount: 510
    Tipo Coppia: M/M
    Personaggi: Haizaki Shougo, Nijimura Shuuzou
    Pairing: Nijimura/Haizaki
    Warnings: Future Fic, Established Relationship, Original Character
    67vB2Lu
    Status: urnN0gA
    Info:
    Trama & Note:
    PROMPT
    Scrivere qualcosa con dei neonati/cuccioli al suo interno

    PARTECIPA A
    COWT10 @LandeDiFandom

    CREDITS
    Immagine banner Imoco

    ALTRO
    Spin-off di Baby Steps
    Haizaki Shougo sapeva di essere un ottimo padre. Lo era senza 'se' e senza 'ma'. Lo era punto e basta.
    Perché non aveva mai avuto un padre - quello stronzo che aveva abbandonato la sua famiglia non era definibile 'un genitore' - e sapeva benissimo che che cosa gli era mancato e cosa no, ed erano cose che non avrebbe mai e poi mai negato a suo figlio./div>
    NOTE
    Non credo sia possibile immaginare questi due come genitori normali LOL
    Non betata.
    «Per quanto fosse sicuro delle sue abilità e capacità genitoriali, nessuno lo aveva preparato a quello.»
    Haizaki Shougo sapeva di essere un ottimo padre. Lo era senza 'se' e senza 'ma'. Lo era punto e basta.

    Perché non aveva mai avuto un padre - quello stronzo che aveva abbandonato la sua famiglia non era definibile 'un genitore' - e sapeva benissimo che che cosa gli era mancato e cosa no, ed erano cose che non avrebbe mai e poi mai negato a suo figlio.

    In ogni caso, per quanto fosse sicuro delle sue abilità e capacità genitoriali, nessuno lo aveva preparato a quello. Neanche la sua cazzutissima madre, che per lui era la donna più forte del mondo.

    Era nella nursery, braccia incrociate davanti al petto ed un'espressione seria e al tempo stesso confusa in viso… perché davanti a lui, disteso con le chiappette rosee all'aria, c'era suo figlio di pochissimi mesi.

    Aveva fatto tutto bene fino a quel momento. Gli aveva tolto il pannolino sporco, lo aveva pulito e lavato ed ora il suo culetto rosa profumava come una pesca.

    La cacca non lo preoccupava né spaventava… il suo problema era ben altro: fargli indossare il pannolino.

    Non che Keiichi fosse problematico - era un angelo -, ma Haizaki sapeva benissimo quanto un pannolino messo male poteva creare disastri e non voleva trovarsi pieni di cacca o pipì.

    Generalmente era Shuuzou a occuparsi del cambio di pannolino, ma avevano discusso - non ricordava neanche per quale stronzata - e alla fine suo marito si era rifiutato di cambiare il neonato con un: «Visto che sei tanto bravo, fallo da solo».

    E la situazione era quella. Non sapeva come fare e non voleva ammetterlo, perché significava dover accettare la sconfitta e se c'era qualcosa che Shougo odiava era proprio quello.

    «Stupido Shuuzou», borbottò afferrando un pannolino per rigirarlo tra le mani e capire quale fosse il davanti e quale il dietro, «tu e il tuo orgoglio del cazzo».

    Riuscì, grazie a delle frecce, a comprenderne il verso e dopo averlo aperto lo piazzó sotto Keiichi - che aveva iniziato a succhiarsi i piedi.

    «Quel bastardo vedrà. Io sono in grado di fare tutto, vero Keiichi?», proseguì, seguendo le linee guida presenti nella confezione del pannolino con attenzione.

    Continuó a borbottare e imprecare a mezzavoce, emettendo infine un verso di vittoria quando completò il suo compito. Fece un passo indietro, per ammirare la sua opera, e a quel punto non poté non esclamare un: «Ecco fatto! Quel coglione di tuo padre dovrà ricredersi!»

    «Ho perso il conto di quante parolacce hai detto negli ultimi cinque minuti davanti a nostro figlio».

    Haizaki sussultó e si voltó di scatto verso la porta dove vide la familiare figura di Nijimura, con in viso un sorrisetto compiaciuto.

    «Ridi ridi, ma ho vinto io. Guarda!», ribatte, prendendo in braccio Keiichi per mostrarlo a Shuuzou con orgoglio.

    Quel movimento però fu fatale e il pannolino che aveva fatto indossare al neonato cadde per terra… cosa che non solo lo fece imprecare rumorosamente ma che fece pure scoppiare a ridere Nijimura.

    Shuuzou aveva vinto la battaglia, quello Shougo doveva ammetterlo, ma non la guerra.




    Note Conclusive:
    //
    code by #Michelle


    Edited by #Michelle - 1/11/2020, 16:02
  15. .
    Asmar
    Fire Emblem Three Houses
    Lingua: Italiano
    Rating:
    Genere: Introspettivo
    Wordcount: 520
    Tipo Coppia: M/F/M
    Personaggi: Claude Von Riegan, Byleth Eisnar, Dimitri Alexandre Blaiddyd, OC!Yasmin Blaiddyd Riegan
    Pairing: Dimitri/Byleth/Claude
    Warnings: Original Character, Future Fic, Threesome
    BrFUhP8
    Status: urnN0gA
    Info:
    Trama & Note:
    PROMPT
    Scrivere qualcosa con dei neonati/cuccioli al suo interno

    PARTECIPA A
    COWT10 @LandeDiFandom

    ALTRO
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    «Lo so che avevamo detto niente cuccioli fino a quando Yasmin non sarà più grande…», esordí Claude, tenendo in un braccio la figlia e nell'altro un cucciolo di viverna dalle squame castane, «ma Yasmin adora Asmar. Non sono carini insieme?»
    «Asmar è il mio migliorissimo amico!», trilló a sua volta la bambina, dando prontamente man forte a suo padre contro gli altri due genitori. C'era da dire che si somigliavano fin troppo con la loro pelle scura e lo stesso guizzo furbo negli occhi, e Dimitri suo malgrado sapeva di avere un debole per loro.
    NOTE
    Nella mia next gen di FE3H, Dimitri, F!Byleth e Claude sono una bellissima 3some
    Non betata.
    «Yasmin era ancora piccola e una viverna come animale di compagnia era… pericoloso.»
    «Lo so che avevamo detto niente cuccioli fino a quando Yasmin non sarà più grande…», esordí Claude, tenendo in un braccio la figlia e nell'altro un cucciolo di viverna dalle squame castane, «ma Yasmin adora Asmar. Non sono carini insieme?»

    «Asmar è il mio migliorissimo amico!», trilló a sua volta la bambina, dando prontamente man forte a suo padre contro gli altri due genitori. C'era da dire che si somigliavano fin troppo con la loro pelle scura e lo stesso guizzo furbo negli occhi, e Dimitri suo malgrado sapeva di avere un debole per loro.

    In cuor suo si sentí diviso tra l'accettare - e rendere in questo modo felice sia suo marito che la figlia - e il dover fare l'adulto responsabile, perché Yasmin era ancora piccola e una viverna come animale di compagnia era… pericoloso.

    Era una scelta tanto ovvia quanto difficile e, forse Claude lo avrebbe definito un codardo, ma preferì di gran lunga far gravare quell'incresciosa scelta sulle spalle di Byleth.

    Claude forse sarebbe riuscito a convincere lui - Yasmin ne sarebbe stata in grado senza ombra di dubbio -, ma con Byleth i loro occhioni color smeraldo non avrebbero mai funzionato.

    La donna infatti li stava fissando con un'espressione seria e severa, con le mani cinte sotto l'ampio ventre come per sorreggere il peso del principino - o principessina - che sarebbe arrivato da lì a un mese. Era bellissima e se Dimitri era debole a Claude e alle fossette di Yasmin, poteva giurare che il suo compagno lo fosse per Byleth che da sempre, anche ai tempi dell'Accademia, era l'unica ad essere in grado di placare i suoi continui scherzi e trabocchetti.

    «Byleth… mia amata~», esordí Claude, sfoderando un sorriso. Aveva chiaramente compreso il piano di Dimitri.

    «Ti prego mammina! Se non teniamo Asmar che fine farà? Non possiamo abbandonarlo! È parte della famiglia», esclamò Yasmin, abbracciando la piccola viverna che si sciolse in un gorgoglio simile a delle fusa - stava anche scodinzolando, notó Dimitri.

    «Avere un animale è una responsabilità», dichiarò Byleth, con voce calma e seria.

    «Gli darò da mangiare e lo puliró!», ribatté prontamente la bambina, che un quanto a testardaggine poteva aver preso solamente da Byleth, «E Baba mi aiuterà, vero?», gli occhioni verdi di Yasmin si spostarono su Claude, carichi di aspettativa e desiderio.

    Quella bambina li aveva tutti in pugno e Dimitri, nascondendo un sorriso, non poté non sentirsi vagamente fiero di lei.

    «Ma certo amore, ci prenderemo cura insieme di Asmar… sempre se tutti sono d'accordo~»

    Byleth sospirò.

    «E sia», accettó, «ma ricordati che una viverna non è un giocattolo… è un essere vivente e in quanto tale non puoi abbandonarlo se ti sarai annoiata o se penserai che sarà troppo difficile curarlo».

    Yasmin assunse un'espressione più seria, la bocca imbronciata e le sopracciglia aggrottate, ed annuì con convinzione. Alle volte, si disse Dimitri, sembrava molto più matura della sua età ed era davvero fiero di lei.

    A quel punto, non riuscì neanche più a nascondere il suo sorriso, che divenne una profonda risata quando Claude, guardandolo, sillabó solo con le labbra un divertito: "Codardo".

    Note Conclusive:
    //
    code by #Michelle
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